Un Tell claustrofobico
A Pesaro l'ultimo capolavoro di Rossini firmato Vick e Mariotti

Recensione
classica
Il Tell di Vick si svolge interamente in una sala bianca, squadrata, nuda, claustrofobica. Eliminato così il “superfluo”, l’attenzione si concentra sulla vicenda – tragicamente sempre attuale: Vick la colloca nel primo Novecento - di oppressione e di insopprimibile anelito della libertà. Sottoposti a brutalità e violenze dai risvolti perfino sadici - alla Salò-Sade di Pasolini - gli svizzeri sono terrorizzati e annientati e il loro riflesso condizionato davanti a Gessler e ai suoi è mettersi carponi a lavare il pavimento. La loro rivolta non avrà nulla di ideologico e neanche di ideale ma sarà l’esplosione di una forza primordiale troppo a lungo repressa, di un istinto insopprimibile alla libertà, necessaria alla vita come l'aria stessa. I momenti cruciali di questo percorso sono le danze del primo e del terzo atto, che vengono così liberate dalla loro funzione di divertissement decorativo. L’importanza assunta da queste pagine marginali è d’altra parte il sintomo che nella regia non tutto funziona e che, accanto a momenti di grande forza teatrale, ce ne sono altri irrisolti. Vick afferma, a ragione, che nella sua regia nulla è gratuito e che tutto è motivato da un’attenta lettura di testo e musica, ma gli si può obiettare che nel testo e nella musica ci sarebbero anche molte altre cose, che egli preferisce ignorare. Una per tutte: la natura, che nel Tell non è “couleur locale” ma simbolo di vita e irrompe impetuosamente come vera protagonista nelle scene culminanti. Vick scrive a caratteri cubitali "ex terra omnia" ma poi mostra la terra elvetica solo in proiezioni su grandi finestre-schermo, lontana e appiattita. Sono però innegabili l’acutezza della lettura di Vick, la perfezione della direzione di solisti e masse, la forza teatrale talvolta cruda (qualche spettatore ha reagito con irritazione) e talvolta sublime ed emozionante.
Michele Mariotti ha guidato orchestra e coro bolognesi a una prestazione maiuscola e ha dominato totalmente la monumentale e complessa partitura, cogliendone l’enorme varietà di soluzioni formali e di colori orchestrali ed illuminandone le virtù profetiche, proprio perché ha evitato di farne una generica anticipazione di corruschi e irruenti modi verdiani. Juan-Diego Florez, al debutto come Arnold, ha superato con stile e sicurezza gli scogli di cui è disseminata la terribile parte. Marina Rebeka è stata irreprensibile vocalmente – a parte qualche acuto un po’ duro – e ancora più apprezzabile per l’intensità drammatica data a Mathilde. Tutto il cast era di ottimo livello ma va sottolineato lo straordinario gruppo di voci gravi: naturalmente Nicola Alaimo, che era Gullaume, e poi Simon Orfila, Luca Tittoto e Simone Alberghini.
Note: Nuova coproduzione con la Fondazione Teatro Regio di Torino
Interpreti: Marina Rebeka, Veronica Simeoni, Amanda Forsythe, Nicola Alaimo, Juan Diego Florez, Simon Orfila, Simone Alberghini, Luca Tittoto, Alessandro Luciano, Celso Abelo, Wojtek Gierlach
Regia: Graham Vick
Scene: Paul Brown
Costumi: Paul Brown
Coreografo: Ron Howell
Orchestra: Orchestra del Teatro Comnale di Bologna
Direttore: Michele Mariotti
Coro: Coro del del Teatro Comnale di Bologna
Maestro Coro: Andrea Faidutti
Luci: Giuseppe Di Iorio
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