Ulisse o della fedeltà coniugale

Al festival “Winter in Schwetzingen” va in scena Ulysses di Reinhard Keiser in una ricostruzione piuttosto libera di Clemens Flick

Ulysses (foto Susanne Reichardt)
Ulysses (foto Susanne Reichardt)
Recensione
Schwetzingen, Rokokotheater
Ulysses
03 Dicembre 2022 - 26 Gennaio 2023

Guarda a nord il festival barocco “Winter in Schwetzingen”, nato su iniziativa del Theater Heidelberg sedici anni fa. Dopo le prime edizioni dedicate a Vivaldi, seguite da quelle dedicate al barocco napoletano, più di recente, sotto la guida del tandem Thomas Böckstiegel e UlrikeSchumann, l’attenzione si è rivolta a lavori pressoché dimenticati del repertorio barocco di area tedesca, a partire da Die getreue Alceste di Georg Caspar Schürmann presentato nell’inverno del 2019. Anche quest’anno la scelta è caduta su un lavoro rarissimamente rappresentato, l’Ulysses di Reinhard Keiser, compositore attivo ad Amburgo e dintorni fra i più prolifici e noti all’epoca, “il più grande spirito del proprio tempo” secondo il collega Georg Philipp Telemann. Questo Ulysses fu composto per il teatro di corte di Copenhagen per le seconde nozze del sovrano danese Frederik IV con Anna Sophie von Reventlow, con cui il monarca già intratteneva una relazione da almeno un decennio, dopo la morte nel 1721 della regina Luisa di Meclenburgo, sposata nel 1695. Per celebrare il nuovo legame di un sovrano non certo campione di fedeltà coniugale, la scelta cade su un libretto in francese di Henri Guichard per l’opera Ulysse di Jean-Féry Rebel del 1703, rielaborato in tedesco, lingua nella quale si esprimeva il monarca danese, da Friedrich Maximilian von Lersner. Molto liberamente ispirato al protagonista dell’epica omerica, la vicenda ha per protagonisti l’eroe Ulisse, di ritorno a Itaca dopo vent’anni di assenza, e Penelope, incrollabilmente attaccata alla fedeltà al consorte. A riprova della sua fedeltà, Penelope riesce a resistere ai pressanti assalti del corteggiatore Urilas nonostante gli insidiosi trabocchetti della maga Circe, finta amica della donna ma attratta in maniera quasi ossessiva da Ulisse, che prova a fare suo senza esclusione di colpi. Tornato nella sua Itaca, Ulisse cade immediatamente vittima dalle malie di Circe, che, grazie a una spada magica, fa credere all’uomo che Penelope non gli sia stata fedele. Il marinaio Eurilochus, ritrovata l’amata Cephalia, sventa i piani della maga e, dopo diversi intrighi, Ulisse e Penelope possono finalmente celebrare la beneaugurante (per i sovrani freschi di nozze) solidità del loro legame.

Ulysses (foto Susanne Reichardt)
Ulysses (foto Susanne Reichardt)

Nell’edizione andata in scena al Rokokotheater di Schwetzingen, il “musikalisches Schau-Spiel” originario viene presentato nella ricostruzione di Clemens Flick, anche vitaminico direttore musicale di questo allestimento, con varie licenze rispetto alla recente e musicalmente più accurata registrazione pubblicata dalla Coviello Classics con la Göttinger Barockorchester diretta da Antonius Adamske. L’azione comincia “in medias res” senza il prologo preceduto da “intrada à 9 avanti l’opera” e dal coro celebrativo “Froher Tag, der du das Leben”, troppo legati, come il coro del finale “Es lebe Friederich” (pure tagliato), all’occasione delle nozze dei reali danesi. Snelliti i recitativi, alla versione vista a Schwetzingen sono stati aggiunti dei testi scritti per l’occasione dalla drammaturga Ulrike Schumann, che vedono in scena un poeta, un Omero un po’ in disarmo (l’attore Klaus Brantzen, anche discreto fisarmonicista), che commenta con un certo ironico distacco i complessi intrecci e tenta un’impossibile ricostruzione del (proprio) racconto delle vicende di Ulisse.

Quanto alla produzione scenica, la regista Nicola Raab azzera la dimensione del mito, trasportando l’azione nel moderno Bar Ithaka, come informa l’insegna fluorescente che pende sul proscenio, arredato della scenografa Madeleine Boyd con un bancone, qualche sgabello, le toilette sul fondo, una polena di nave dopo un naufragio e un grande albero nodoso sul davanti. In questo spazio fisso, corredato da qualche siparietto (tutto lustrini per le “song” di furore di Circe o a sfondo paesaggistico per la fuga tattica di Penelope nella foresta), galleggia un’umanità alla deriva che sembra uscita da un film di Fassbinder alleggerito da qualche spiritosaggine per alleggerire un intreccio altrimenti piuttosto convenzionale e prevedibile.

Piuttosto debole nel complesso la distribuzione vocale, che ha in Henryk Böhm un protagonista Ulisse pochissimo carismatico anche sul piano vocale. Non impressionano nemmeno Jutta Böhnert, una Penelope corretta ma con più di un impaccio nei passaggi di agilità, e Dora Pavlíková, una Circe simpatica ma poco trascinante nonostante le molte arie di furore che le assegna la partitura. Più vivace e fresca la coppia Eurilochus e Cephalia di João Terleira e Theresa Immerz. Completano il cast, il tenebroso ma poco seducente Urilas di Andrew Nolen, e le spiritose ma vocalmente esili amourette un po’ stagionate di Manuela Sonntag e Elena Trobisch. Li accompagna la Philharmonisches Orchester Heidelberg funzionale soprattutto allo spettacolo, ma musicalmente poco accattivante soprattutto per un suono poco curato, compreso nei passaggi solistici delle diverse, apprezzabili arie con elaborati passaggi con strumenti obbligati.

Qualche vuoto in sala, specialmente dopo la pausa. Applausi.