A Schwetzingen il barocco parla tedesco 

Per “Winter in Schwetzingen” il Theater Heidelberg propone Die getreue Alceste di Georg Caspar Schürmann dopo un oblio secolare 

Die getreue Alceste, La fida Alceste (Foto Susanne Reichardt)
Die getreue Alceste, La fida Alceste (Foto Susanne Reichardt)
Recensione
Schwetzingen, Rokokotheater
Die getreue Alceste (La fida Alceste)
01 Dicembre 2019 - 31 Gennaio 2020

Il festival “Winter in Schwetzingen” volta pagina. Dopo numerose stagioni dedicate all’opera barocca italiana nelle declinazioni veneziana, napoletana e romana, il Teatro di Heidelberg punta l’obiettivo sul nord Europa per la sua trasferta invernale nel prezioso Rokokotheater all’interno dell’antica residenza estiva dei Principi Elettori del Palatinato. Piatto forte dell’edizione 2019/20 è il recupero scenico dell’opera in tre atti Die getreue Alceste (La fida Alceste), composta da Georg Caspar Schürmann per la corte di Braunschweig-Wolfenbüttel nel 1719 e subito ripresa all’Oper am Gänsemarkt di Amburgo per una fortunata serie di rappresentazioni che superarono le 40 repliche fino al 1723. Dimenticata per secoli, la partitura è stata recuperata dal musicologo e direttore Ira Hochman e riproposta nel 2016 in una versione semiscenica e con sostanziosi tagli all’Università di Amburgo, la cui registrazione è l’unica disponibile oggi. Parte dal lavoro di Hochman l’edizione presentata a Schwetzingen, personalmente riarrangiata dalla barocchista Christina Pluhar per questa prima versione scenica in tempi moderni. 

Il soggetto, versificato in lingua tedesca dal librettista Johann Ulrich König, è una delle tante variazioni sul mito della fedele Alceste, molto popolare all’epoca della composizione. Originale è indubbiamente il taglio del soggetto e soprattutto la speditezza nella successione delle scene e dei sapienti colpi di scena. L’opera si apre alla vigilia delle nozze di Admeto con Alceste, amata anche da Ercole, amato dall’infelice Ippolita, e Licomede. Quest’ultimo rapisce Alceste un attimo prima che si suggelli il legame e, con l’aiuto della dea Teti che scatena una tempesta, riesce a far perdere le sue tracce ai presenti. Ritrovato Licomede, Admeto lo uccide in duello ma rimane ferito a morte. Pallade annuncia che la sua vita sarà salva se qualcuno sacrifica la propria vita per lui e sarà proprio Alceste a togliersi la vita per amore del consorte. Ercole, tuttavia, decide di attraversare lo Stige sulla barca di Caronte per chiedere a Plutone e Proserpina di riportare Alceste sulla terra. Davanti alla volontà della donna di tornare a vivere e alla nobiltà d’animo di Ercole, Plutone concede a quelli che ritiene i due amanti di lasciare gli inferi. Tornati nella reggia, Ercole capisce che il cuore di Alceste è tutto per Admeto e rinuncia alla donna accettando l’amore di Ippolita. 

Benché ricca di colpi di scena e di elementi sovrannaturali come vuole il lessico drammaturgico barocco di ogni latitudine, questa Alceste teutonica ha una trama più lineare rispetto ai lavori italiani del periodo e uno sviluppo musicale che punta più alla ricchezza dell’accompagnamento strumentale che non all’iperbole vocale. Non sono poche le arie che prevedono un dialogo dell’interprete vocale con uno strumento solista (come il violoncello nella struggente “Gute Nacht, ihr schönsten Blicke”, aria dell’addio di Admeto a Alceste) e la particolare cura nei recitativi rimanda alla grande lezione bachiana. La ricchezza musicale della partitura è restituita all’ascolto grazie all’esecuzione particolarmente delicata e precisa della Philharmonisches Orchester di Heidelbergpreparata da Christina Pluhar, sostituita sul podio di Schwetzingen da Claudio Novati per alcune delle recite in cartellone. Ben assemblato anche il cast vocale, che ha in Sophie Junker e Rupert Enticknap due validissimi protagonisti di grande sensibilità. Ipča Ramanović è un Hercules di carattere, ma soffre qualche inciampo nei passaggi più tecnici che Schürmann riserva alle arie del suo languoroso eroe. Degli altri, si distinguono gli interventi piuttosto incisivi del furioso Licomedes di Stefan Sbonnik, la fragile delicatezza dell’Hyppolite di Elisabeth Breuer e soprattutto la marcante presenza della confidente Cephise di Emmanuelle de Negri, eccellente nell’articolazione vocale e nella dizione. 

Piacevolmente illustrativo l’allestimento curato dal regista Jan Eßinger con costumi contemporanei e scene leggere e cangevoli di Benita Roth, più ispirate nei quadri notturni. Particolarmente efficace la rappresentazione del regno degli inferi con le presenze di Plutone e Cerere bifronti contro un fondale foliage con i colori dell’autunno. 

Pubblico molto numeroso anche alla penultima recita. Molto generosi gli applausi.