Sir John Eliot Gardiner en Italie

Il direttore inglese ha debuttato sul podio dell’orchestra di Santa Cecilia, aprendo e chiudendo il concerto con due composizioni “italiane” di Berlioz, Il Carnevale romano Aroldo in Italia

Sir John Eliot Gardiner e l'Orchestra di Santa Cecilia
Sir John Eliot Gardiner e l'Orchestra di Santa Cecilia
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica
Sir John Eliot Gardiner e l'Orchestra di Santa Cecilia
14 Marzo 2019 - 16 Marzo 2019

Sir John Eliot Gardiner ha sempre dosato le sue apparizioni in Italia e ha fatto il suo debutto sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia solo ora, a settantacinque anni d’età. Il pubblico naturalmente già lo conosceva per i suoi concerti con gruppi specializzati in musica barocca e per le sue incisioni e non l’ha accolto come un debuttante ma come una vecchia conoscenza, affollando l’auditorium e tributandogli un successo molto caloroso fin dal suo ingresso sul palco.

Confermando di trovarsi perfettamente a suo agio non solo con i piccoli gruppi di barocchisti, Gardiner ha messo in programma tre brani che richiedono un’orchestra particolarmente ampia e sgargiante, cominciando con Le Carnaval romain, che era un omaggio a uno dei suoi compositori preferiti e simultaneamente alla città che lo ospitava. In effetti sia la splendida orchestrazione di Berlioz che la couleur locale romana sono stati serviti magnificamente dalla sua bacchetta. Grande rilievo alla melodia iniziale del corno inglese, mai sentita così tenera e allo stesso tempo sfrontata, così nobile e allo stesso tempo popolaresca. E più in là grande rilievo anche al ritmo e soprattutto ai colori romaneschi del saltarello, con i tamburelli ben evidenziati, evitando di farli sommergere dallo scatenamento della grande orchestra. Proprio quest’ultimo aspetto dell’interpretazione di Gardiner era particolarmente evidente, cioè l’attenzione a far sentire nitidamente i singoli colori della splendida orchestrazione di Berlioz, che restavano sempre percepibili individualmente, mai confusi in un indistinto magma sonoro. Si direbbe che la sua grande esperienza nella musica del Settecento sia servita a Gardiner per comprendere che Berlioz è stato sì il creatore della grande orchestra ottocentesca, ma che gli strumenti – soprattutto i fiati - della sua epoca erano ancora sostanzialmente quelli del Settecento, con i timbri ben differenziati l’uno dall’latro e sonorità un po’ acidule e perfino gracili.

Poi Gardiner è passato allaSinfonia n. 7 di Dvorak, composta cinquanta anni dopo, quando le innovazioni di Böhm avevano cambiato profondamente la tecnica esecutiva e la sonorità dei legni, mentre Wagner aveva imposto un tipo di orchestrazione che cercava l’amalgama dell’intera orchestra piuttosto che la valorizzazione delle singole sezioni strumentali. Dunque all’orchestra di Dvorak Gardiner ha dato sonorità piene e compatte: un fiume sonoro di sonorità splendide e sfavillanti che avvolgeva e trascinava l’ascoltatore, anche perché associate a melodie di immediata presa e a ritmi incisivi. Questa sinfonia complessa, seriosa (non c’è quasi traccia degli spunti popolari presenti in tanta musica del compositore ceco) e perfino dotta fluiva con estrema naturalezza e senza alcuna pesantezza nell’interpretazione di Gardiner, che poi concludeva ritornando a Berlioz e al suo Harold en Italie, una sinfonia “a programma” come la Symphonie phantastique, ma con un’innovazione che la rende ancora più teatrale: qui il protagonista dell’immaginaria vicenda narrata dalla musica è interpretato dalla viola solista, mentre l’orchestra descrive l’ambiente che lo circonda, si tratti del paesaggio montuoso dell’Abruzzo o delle voci dei briganti scatenati nell’ “orgia” finale. Aroldo aveva la voce poetica e il timbro pieno e purissimo della viola del francese Antoine Tamestit, che, evidentemente d’accordo con Gardiner, ha anche “sceneggiato” questa sinfonia. Il protagonista infatti è entrato in scena solo dopo l’ampia introduzione orchestrale ed è andato a posizionarsi ai margini dell’orchestra, accanto all’arpa, perché la sua prima melodia, che sarà poi il tema ricorrente della sinfonia, è presentata come un duetto con l’arpa: quella di Tamestit è una trovata teatrale ma è anche molto valida per il suo effetto acustico, che valorizza il magico accostamento di questi due strumenti così diversi, eppure accomunati da un suono timido e delicato. In seguito Tamestit si sposta continuamente sul palco, per ottenere altri simili effetti ora teatrali ora acustici. E nell’ultimo movimento - l’orgia dei briganti -  esce perfino dalla sala, per rientrarvi timidamente soltanto verso la fine e suonare le poche note che Berlioz gli concede nel finale, mentre orchestra suona l’intero movimento in piedi, per prendere anche fisicamente possesso di questa parte della sinfonia. Non sempre questa messa in scena era necessaria, perché l’Harold en Italie è già abbastanza teatrale di per sé, ma l’esecuzione è stata obiettivamente magnifica.

Gardiner è stato applaudito sempre più calorosamente dopo ogni pezzo e ha voluto condividere il suo successo con l’orchestra, chiamando ripetutamente le prime parti e le sezioni intere ad alzarsi per raccogliere anche loro la meritata dose di applausi.

 

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