“Rita”, c’è poco da ridere

L’operina di Donizetti apre il Cantiere di Montepulciano con Patrizia Ciofi protagonista

Rita, due uomini e(t) una donna (foto Irene Trancossi)
"Rita, due uomini e(t) una donna" (foto Irene Trancossi)
Recensione
classica
Montepulciano, Teatro Poliziano
Rita, due uomini e(t) una donna - Cantiere di Montepulciano
16 Luglio 2022 - 17 Luglio 2022

È stata riproposta il 16 e 17 luglio al Teatro Poliziano di Montepulciano la misteriosa farsetta donizettiana Rita, che ebbe la sua prima esecuzione a Parigi ben oltre la morte del compositore, nella forma tipica dell’Opéra-Comique, con i dialoghi parlati (il testo è di Gustave Vaëz, autore della traduzione francese della Lucia di Lammermoor). Un lavoro che per qualche ragione non aveva visto la scena prima della morte del compositore. A Moltepulciano la si è data in italiano, come si fa da quando Rita fu riscoperta con un’oramai lontana ripresa alla Piccola Scala. In sostanza, un’ostessa, Rita, il cui manesco primo marito, Gasparo, era scomparso, dato per disperso in vicende militari e di mare, ha sposato il timido e sottomesso Beppe, che si lascia maltrattare e schiaffeggiare dalla consorte, ma ecco che ricompare Gasparo, che nel frattempo si è fidanzato con una fanciulla canadese, e vorrebbe forse recuperare la sua libertà; ma il confronto fra i due mariti evolve in una sfida per il possesso della bella locandiera, in cui il mite Beppe finisce, a dispetto di tutto, per ribadire con forza il suo amore alla sposa manesca, e Gasparo è costretto a ritirarsi. Ora come ora, il tema della sposa picchiata - e a dire il vero, in questo caso, picchiatrice - non è che ci porti al sorriso, e il regista, Vincent Boussard, ha studiato un finale, per dir così, femminista, in cui è Rita a liberarsi dei due e andare incontro ad un avvenire forse diverso. Chissà ? Di fatto, se si ride poco è in parte per il tema in sé,  e in gran parte perché è davvero una storia scombinata e velleitaria, un affastellamento di gags con caratteri e motivazioni molto mal delineate, e poco aiutavano in questo le invenzioni registiche con le consuete controscene di figuranti, in cui l’osteria diventava una specie di sartoria di provincia (scene e costumi a cura degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Macerata). I protagonisti in scena erano un’esperta e intelligente belcantista come Patrizia Ciofi, il baritono tedesco Dietrich Henschel come Gasparo, sicuro ed esperto vocalmente e scenicamente ma alle prese con un personaggio di difficile maneggio e forse con un tipo di repertorio poco praticato, e il giovane e per ora davvero un po’ acerbo tenore Matteo Tavini come Beppe.

   Ciò che è davvero pregevole è in effetti la partitura, brillante, affilata e ricca di idee nella sua limpida delineazione sui caratteri dell’Opéra-Comique, giustamente esaltata per la sua qualità da tanti esegeti donizettiani, partitura però un po’  spennacchiata dalla riduzione per orchestra da camera realizzata su commissione del Cantiere da Paolo Cognetti. Le buone notizie vengono dalla lucida ed efficace concertazione di Marc Niemann, e dall’ottima prestazione della giovane Orchestra Filharmonie pur a ranghi ridottissimi; tuttavia, ripensando alle passate edizioni, si è avuta in sostanza l’impressione di una sorta di  inciampo rispetto alla tradizione del Cantiere del recupero di piccoli capolavori del repertorio comico. Successo comunque cordiale.

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