Parma tra mainstream e "vero jazz"
Marcus Roberts e Dianne Reeves per il nuovo jazz festival parmigiano.
12 maggio 2010 • 2 minuti di lettura
ParmaJazz Parma
Il neonato Parma Jazz Festival ha offerto una proposta dedicata alla musica di origine afroamericana, che si aggiunge ad anni di frequentazione che i parmigiani hanno maturato con l’ormai consolidato Parma Jazz Frontiere. Al di là dei confronti e dei proclami – c’è dell’incauto provincialismo in un direttore artistico (Antonio Ciacca) che dice di voler portare in Italia il "vero jazz" – il programma proposto ha offerto appuntamenti di alterna qualità, tra i quali scegliamo di parlare di due concerti tra loro molto differenti. Il primo è quello che ha visto protagonista Dianne Reeves: sostenuta con efficacia dai suoi musicisti, la sua proposta musicale ha spaziato dal jazz mainstream più raffinato a brani che rievocavano le radici blues di una musica che la Reeves porta evidentemente nel sangue, riuscendo a trasferirla dall’anima alla voce, e quindi al pubblico. Il secondo ha visto protagonista Marcus Roberts e il suo trio. Il pianismo di Roberts si è fatto apprezzare, oltre che per la consapevolezza stilistica e il raffinato controllo timbrico, anche per l’originalità che ha saputo infondere nelle interpretazioni di brani che hanno omaggiato figure che andavano da Thelonious Monk a John Coltrane, fino allo sguardo a ritroso rivolto all’opera di Jelly Roll Morton. Escursioni nelle diverse stagioni della storia del jazz che questo artista ha condiviso con la presenza trascinante della batteria di Jason Marsalis e del basso di Rodney Jordan, in un susseguirsi di dialoghi solidi ma misurati, seguendo il filo conduttore di una compostezza la quale, più che atteggiamento estetico aprioristico o indulgente, appariva come scelta interpretativa coerente. Un carattere, quello dei due artisti, capace di coinvolgere un pubblico non numerosissimo, almeno nelle due prime serate.