Nature (vive) a Genova

Il racconto della trentunesima edizione del Festival musicale del Mediterraneo

Stella Chiweshe - Festival del Mediterraneo
Stella Chiweshe
Recensione
world
Genova
Festival Musicale del Mediterraneo: “Nature”
01 Luglio 2022 - 17 Luglio 2022

Doppia declinazione di senso, in “Nature”, il titolo guida scelto quest’anno da Davide Ferrari di Echo Art per la trentunesima edizione di un festival di world music (e non solo) che vanta uno dei primati di longevità nel panorama europeo, il Festival del Mediterraneo di Genova.

– Leggi anche: Trent'anni di Festival del Mediterraneo

In inglese è di per sé “ambiente naturale”, oppure si può intendere nel plurale italiano come la somma di diversità ambientali, in pericolo evidente e non negoziabile – a meno di non (s)ragionare come Bolsonaro, che il profitto (di pochi) sia un buon prezzo da pagare per il suicidio scientifico e sistematico del pianeta.

Molti “ambienti”, producono o assecondano molte musiche diverse: quasi un luogo comune. Così il festival genovese, in questa prima tranche, è stato ospitato in molti scenari naturali diversi, valorizzando ad esempio un’antica villa patrizia, il Castello D’Albertis creato a fine Ottocento da un navigatore visionario, dove ha sede il Museo delle culture del mondo; Forte Begato, uno spazio incantato in elevazione sopra Genova, che permette allo sguardo di vagare dall’estremo ponente ligure alla punta Chiappa di Camogli nel Levante. Se fosse nelle mani di altri europei, sarebbe un trionfo di iniziative culturali continue.

Impossibile dar conto di quanto successo in oltre due settimane di workshop, incontri, presentazioni di testi, letture, concerti in tema. Meglio fornire allora qualche flash su alcuni eventi che danno senso e sostanza a questo grande appuntamento, a cominciare da un set del multistrumentista Friederich Gulda che, munito di basso a sette corde, computer, e sensori per il suono distribuiti al pubblico, ha creato una performance in perfetta sintonia con il concerto di uccelli del parco Bombrini.

Alla sera il concerto “Le sei stagioni” con la violinista indiana Jyotna Srikantah accompagnata da giovani strumentisti del Conservatorio Paganini di Genova: sì, le stagioni in India sono sei (quella dei monsoni, quella della neve, in più), ma infinite invece sono le possibilità che offre il volteggio di un violino “eteredosso” su modi microtonali, decisamente esaltanti. La violinista è tornata ospite dell’Orchestra giovanile del Paganini, improvvisando perentoria e melismatica sulle Quattro stagioni di Vivaldi.

Piuttosto doloroso invece cogliere il declino della voce esitante della signora del “fado povero” Dona Rosa, forse stremata dal caldo, soprattutto se confrontata alla one band woman Rachele Andrioli, che con loop ben governati, tammorre, flauto armonico, chitarra e soprattutto una voce possente ha mostrato cosa sia la “tradizione (salentina) in movimento".

Shinobu Kikuchi ha offerto un poeticissimo set di brani tradizionali dalla zona di Okinawa con grazia e compostezza, parole che si possono ben spendere anche per il set oniricamente elegante del multistrumentista tedesco Stephan Micus, che ha alternato il suono in contemporanea di due tin whistle irlandesi a brani con kalimbe, shakuhachi, duduk e via vagando per il mondo (dei suoni).

Ashti Abd, curdo siriano siriano, ha suonato tubi di plastica trasformati in flauti armonici, duduk, e un tamboura tintinnante per un set semplice ed efficace, ottimo preludio alla squassante esibizione in solo Olena Uutai. Lei è una sciamana siberiana della Yakutia, e con la voce e le tecniche armoniche riesce a imitare qualsiasi animale della sua terra ostica e incantata, generatrice di miti e di un rispetto per e con la natura che forse ha eguali solo tra gli Indios dell’Amazzonia o tra i Pigmei: di volta in volta è uccello, lupo, alce. Impressionante, davvero. Demetrio Stratos, se ci fosse, oggi sarebbe suo allievo.

Un’altra sciamana in diretta connessione con la terra è Stella Chiweshe dallo Zimbabwe, l’unica donna che suoni la kalimba degli spiriti, il “piano a pollice” sempre tra le mani degli uomini. Ha promesso che avrebbe imbastito un “massaggio per il cervello”, con la sua kalimba, e così è stato. Ma non era solo un concerto: lei lo intende come un rito e una cura, tant’è che a fine set ha voluto andare a sedersi tra la gente del pubblico, a verificare nei fatti se il “massaggio cerebrale” c’era stato, e a raccontare qualcosa della sua visione limpida, potente e ancestrale di un mondo regolato da tante presenze spirituali che sono, in toto, l’insieme della natura e chi ci ha preceduto, i nostri antenati. Al di fuori di ogni retorica, c’è da imparare.

E di certe pratiche “altre” che fanno bene ne sa qualcosa Giovanni Di Cicco, maestro dell’ensemble di danza Deos: ai suoi giovanissimi danzatori sull’erba del Forte Begato, accompagnati da una strepitosa vocalist indiana come Parveen Khan, fa eseguire in Rasa movenze modernissime, poi ogni tanto li fa girare come i sufi dervisci, nella danza rotatoria antioraria dei “tannura”. Tutto torna.

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