Acoustic Night, la resistenza della gioia
Compie un quarto di secolo l'Acoustic Night di Beppe Gambetta a Genova

Un quarto di secolo. Venticinque anni in cui sul palco del Teatro Nazionale Ivo Chiesa di Genova sono passati decine e decine di musicisti, tutti assieme a dar corpo e materia a un sogno: il sogno dell’incontro tra persone di culture diverse che maneggiano le corde, e regalano scintille di bellezza moltiplicate, quando trovano la via del dialogo.
Questa è l’essenza dell’Acoustic Night ideata dal chitarrista e compositore Beppe Gambetta e da Federica Calvino Prina, un’essenza che mai s’è diluita negli anni, e che ha avuto la sua festa per tre sere di fila di concerti intensi. Il titolo ne era diretta allusione: Celebration, ma più importa ancora sottolineare il senso del ritrovarsi sul palco, in questi tempi amari in cui, nel mondo, sembrano prevalere la (il)logica della forza bruta e della vessazione: sottotitolo con una frase della poetessa americana Toi Derricotte: “Joy is an act of resistance”, la gioia è un atto di resistenza. Da tenere a mente, contro i tristi figuri dell’intolleranza.
La festa delle corde (enfatizzata, al solito, dai meravigliosi quadri di scena coloratissimi di Sergio Bianco) s’è concretizzata in un cast stellare che andava a sondare proprio due “ceppi” musical ben strutturati sulla gioia della musica e della celebrazione: la Galizia, terra di antiche radici gaeliche intrecciate a quelle iberiche, il Québec francofono del Canada, altro grande spunto di gioia per le musiche della danza, del ritmo frenetico, della trance nella struttura rimbalzante della “chiamata e risposta”.
Dalla Galizia arrivava Chuchi Cuadrado, un chitarrista e ricercatore che mette a dialogare il nuovo folk di mediazione con le melodie antiche raccolte sul campo, e la moglie Natalie Haas, strepitosa violoncellista sotto le cui dita pulsano molti rifermenti diversi; californiana, da giovanissima s’è innamorata della musica scozzese, e s’è poi “reinventata” il suono del suo magnifico strumento facendolo diventare, all'occorrenza, percussione o melodia pura, supporto e chiave solistica inaudita: in duo con Cuadrado, un binomio di gran potenza.
L’altro binomio (che molti ricorderanno come cellula fondamentale del gruppo La Bottine Souriante) era quello fra David Boulanger, violinista e vocalist, un corpo da orso gentile e le dita da folletto frenetiche sulle corde, e in più, buon peso, un trascinante senso dell’umorismo, e Eric Beaudry a bouzouki, chitarra e voce. Tutti e due maestri anche nell’arte di scandire con entrambi i piedi la pressante spinta ritmica delle note del Québec.
Al solito, è pressoché impossibile riassumere la scaletta di incroci, commistioni, soluzioni timbriche che Gambetta concepisce per il suo gioioso gioco degli incontri, sul palco. Qui piace però ricordare, sul fronte più “trad”, la grazia di una ballata galiziana come "Palo Pinto", accostata a “Natalie Chuci Chuci”, una nuova composizione in sette ottavi – le sillabe del titolo - nata quando nella pandemia Natalie bloccata in California e Chuci dalla Galizia si scambiavano file sonori.
Gambetta, impeccabile maestro di cerimonie, dal suo repertorio ha tratto la nuovissima "Woody & Pete": è la versione in inglese, qui protagonisti ovviamente Pete Seeger e Woody Guthrie, di "Un panino", l’antica melodia ternaria francese che supportava la sua canzone su un perplesso De André che dalle nuvole osserva stupito il proliferare di omaggio nei suoi confronti, quando meglio sarebbe un evangelico e pragmatico dar da mangiare a chi ne ha bisogno.
Immancabile "Dove tia o vento", l’amara canzone in genovese su antichi e nuovi migranti dall’Italia che è forse il capolavoro di Gambetta, e Terra Madre, il brano che intitola l’ultimo disco.
Finale com’era lecito attendersi: un’onda danzante di gioia e di funambolismo strumentale, per un pubblico che era arrivato anche da Stati Uniti, Germania, Svizzera, e da innumerevoli città italiane. Come mancare l’atto di resistenza della gioia?
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