Maestri e allievi nel nome di Monteverdi
La chiusura del Monteverdi Festival con “Ercole amante” di Francesco Cavalli e con una serie di preziosi concerti vocali e non solo

Parla di eroi o, meglio, di “Heroes” l’edizione annuale del Monteverdi Festival, aperto dal Monteverdi del Ritorno di Ulisse in patria e chiuso dall’Ercole amante del suo allievo Francesco Cavalli. Chiusura pertinente poiché nella mitologia non c’è probabilmente eroe più eroe di Ercole, anche se nel trattamento del librettista Francesco Buti, uomo di fiducia del cardinale Mazzarino e responsabile delle feste e degli spettacoli di corte, il protagonista delle dodici fatiche è ormai al capolinea della propria esistenza terrena e più interessato agli intrighi sentimentali che alla lotta.
L’opera si apre con un prologo celebrativo nel quale i fiumi festeggiano il matrimonio fra Luigi XIV e Maria Teresa di Spagna nel 1660, l’occasione per cui fu commissionata, ma andrà in scena solo due anni dopo. Solo alla fine dell’opera, però, l’unione fra Ercole e Bellezza assolve alla funzione encomiastica per l’unione delle corone di Francia e di Spagna. Fra il prologo e il finale, tuttavia, il nostro eroe vive una tormentatissima passione per Iole, nonostante sia sposato con Deianira e il figlio Hyllo ami, ricambiato, la stessa donna. Pronto a ripudiare la moglie, il protetto di Venere provoca l’intervento di Giunone, ben decisa a riaffermare la sacralità del legame nuziale e contrastare in tutti i modi i disegni di Ercole. Come sempre nelle opere di Cavalli, le sorprese e i colpi di scena si sprecano. Fra questi il ritorno dall’oltretomba di Eutyro, padre di Iole e vittima di Ercole, e la spettacolare morte del protagonista destinato comunque a una unione celeste con la Bellezza e a lasciare campo libero a Iole e Hyllo in una ideale unione fra cielo e terra.
Non prende troppo sul serio il plot di questa “tragedia di un prologo e cinque atti” (da libretto) il regista Andrea Bernard, che firma un allestimento nella chiave della leggerezza e del divertimento. L’impianto scenografico di Alberto Beltrame è fisso e rappresenta un grande salone da cerimonie (ma la cerimonia nuziale non avrà luogo che alla fine del complesso plot) con un piccolo palcoscenico nascosto da un sipario che si apre per lo più su fantasiose e irriverenti scenette mitologiche ma anche sul sinistro oltretomba tutto nero e fumi che inghiottirà Ercole decretando la fine della sua esistenza terrena. Dal canto suo, la costumista Elena Beccaro veste con abiti moderni la corte di Ercole e riserva eccentriche crinoline alle dee. Rigorosa sul piano stilistico, non manca di brio nemmeno la direzione di Antonio Grecoche trova un equilibrio perfetto nell’attraversare il vasto e mutevole spettro di affetti tipico delle partiture di Cavalli. Dal canto suo, l’ensemble Cremona Antiqua, orchestra in forza al festival, aggiunge valore all’accompagnamento strumentale con un suono ricco e plastico, dinamiche solide e morbidezza di fraseggio. Ottimo l’apporto di un cast vocale con poche debolezze, che trova in Renato Dolcini un protagonista perfetto nell’equilibrio fra il registro comico e quello tragico del sottofinale, che adombra quello del più celebre seduttore di Siviglia. Riuscite anche le prove delle due donne rivali loro malgrado che sono Hilary Aeschliman, una Iole di carattere nonostante dei mezzi vocali piuttosto esili, e Shaked Bar, imperiosa Deianira, vocalmente ben cesellata. Molto riuscite anche le prove delle “divine” Paola Valentina Molinari, che è una Venere (e Bellezza) dai toni irriverenti, e Theodora Raftis, che invece è una Giunone furiosa e altrettanto scanzonata. Non meno convincenti sono Jorge Navarro Colorado, che disegna un impacciato Hyllo ma non sul piano vocale, e Federico Domenico Eraldo Sacchi, che è un Nettuno vocalmente imponente e soprattutto l’ombra di Eutyro di sinistra presenza. A loro si aggiungono Danilo Pastore, che è il confidente Licco in un’inedita versione gender fluid, e Maximiliano Danta, un paggio di irresistibile simpatia, entrambi impeccabili nell’incarnare la dimensione comica, componente fondamentale nelle opere di Cavalli. Impeccabili gli interventi del Coro del Monteverdi Festival.
Ercole amante a parte, accanto a quella ovvia del titolare, la presenza di Cavalli è molto corposa in tutti o quasi i concerti del weekend di chiusura del festival, quasi si trattasse di un ideale passaggio di testimone fra il divino Claudio e il suo più giovane allievo. Nel concerto all’Auditorium “Giovanni Arvedi” con Christophe Rousset e i suoi Talens Lyriques – in formato ridotto con i violinisti Gilone Gaubert e Benjamin Chénier, il violoncellista Emmanuel Jacques, il liutista Karl Nyhlin e lo stesso Rousset al clavicembalo e organo – i due compositori “veneziani” vengono proiettati a Napoli. A dire il vero di partenopeo c’è la Sinfonia de L’incoronazione di Poppea dalla partitura conservata a Napoli e due pezzi strumentali di Andrea Falconeri dal Primo libro di canzone, sinfonie, fantasie, capricci, brandi, correnti, gagliarde, alemane, volte, proposti come intermezzi all’antologia di musica vocale in gran parte dalla Poppea monteverdiana e da Veremonda e Il Ciro di Cavalli. Un viaggio nel cuore del Seicento italiano guidato con gusto raffinato da Christophe Rousset. Le voci limpide di Apolline e Thaïs Raï-Westphal restituiscono con grazia e intensità la sensualità e il dramma delle opere di Monteverdi e Cavalli, mentre l’ensemble ha brillato per precisione stilistica e ricchezza timbrica. Particolarmente toccante il bis con “Pur ti miro”, sospeso tra languore e dolcezza.
L’accoppiata Monteverdi-Cavalli tornano anche nel concerto “aperitivo” ospitato nel cortile rinascimentale di Palazzo Guazzoni Zaccaria. Intitolato “Specchi barocchi”, si tratta di una antologia dedicata alla voce del tenore nel Seicento, che è quella di Marco Angioloni, interprete elegante ed espressivo di pagine di umori molto contrastati tratte dall’Orfeo, dall’Ulisse, dai madrigali per Monteverdi, e dall’Egisto, dall’Orimonte, da Gli amori di Apollo e Dafne per Cavalli. Lo accompagna il duo Il Groviglio – Rebeca Ferri al violoncello e flauto a becco e Marco Crosetto al clavicembalo – con sobrietà e ricchezza timbrica, dando grande rilievo alle parentesi strumentali d’epoca tratte dai cataloghi di Girolamo Frescobaldi, Jean De Macque e Andrea Falconeri.
Consacrato alla figura di Barbara Strozzi, invece, è il concerto spettacolo di Anime Specchianti ospitato sempre nel cortile di Palazzo Guazzoni Zaccaria. Compositrice e cantante veneziana del periodo barocco, la figlia adottiva (e probabilmente naturale) del poeta Giulio Strozzi, fu educata in un ambiente colto e artistico, legato all’Accademia degli Incogniti. Barbara Strozzi pubblicò con il proprio nome otto raccolte di musica vocale, quasi tutte per voce solista, un originale catalogo di affetti e passioni. Ispirandosi a testi dalla Veglia prima [-terza] de’ signori Academici Vnisoni. Hauuta in Venetia in casa del signor Giulio Strozzi, firma il testo Chiara Nicastro, che presta anche la voce all’antologia musicale con brani vocali di Monteverdi e ovviamente della Strozzi. Francesca De Lorenzi racconta al pubblico le tappe esistenziali di una donna sottolineandone la difficile emancipazione grazie alla sua arte, con incursioni coreografiche, piuttosto pleonastiche, di Giorgia Massaro. Tutto femminile anche il duo strumentale, cioè Francesca Bacchetta al clavicembalo e Rosita Ippolito alla viola da gamba, che accompagna la performance, aperta in forma di ouverture da La Tromboncina di Frescobaldi e significativamente chiusa da La Folias dai Flores de Música dello spagnolo Antonio Martín y Coll.
Monteverdi e Cavalli, maestro e discepolo, come Girolamo Frescobaldi e Johann Jakob Froberger, protagonisti del concerto di Kohei Takeoka, vincitore del IV Concorso Internazionale di Clavicembalo – Città di Milano. Attraverso brani anche di altri compositori dell’epoca, come Sweelinck, Philips e Couperin, il clavicembalista giapponese tesse un racconto in musica dell’incontro tra un grande maestro italiano e un discepolo tedesco, che diventa anche un’esplorazione di un momento cruciale della storia della musica per tastiera. Proposto senza interruzioni e senza la distrazione degli applausi (che arrivano comunque copiosi alla fine), il programma alterna pezzi vivaci e danzanti a pagine più intime e meditative, come il toccante Lamento di Froberger. Frescobaldi emerge con tutta la sua fantasia e originalità creativa, mentre il suo allievo mostra come la lezione italiana si sia trasformata in qualcosa di personale e profondo. Un’occasione preziosa per scoprire suoni antichi e sorprendenti, in un ambiente raccolto come il foyer del Teatro Ponchielli, ideale per lasciarsi trasportare dal suono puro del clavicembalo.
Si chiude così una edizione particolarmente ricca del Monteverdi Festival con oltre 30 appuntamenti che hanno confermato la vocazione internazionale di una rassegna varia e articolata che si conferma sempre più come evento di riferimento per la musica antica nel nostro Paese.
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