L’Ifigenia in nero di Robert Carsen a Parigi 

Grande successo per l’Iphigénie en Tauride di Gluck al Théâtre des Champs-Elysées 

Iphigénie en Tauride
Iphigénie en Tauride
Recensione
classica
Parigi, Théâtre des Champs-Elysées
Iphigénie en Tauride
22 Giugno 2019 - 30 Giugno 2019

Una tragedia classica, centrata su una famiglia: in estrema sintesi è questa l’Iphigénie en Tauride di Gluck secondo Robert Carsen, regista in collaborazione con Christophe Gayral dell’allestimento andato in scena al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, una ripresa della produzione vista all’Opera di San Francisco nel 2007 transitata successivamente anche a Chicago e Londra. Ispirato a un estremo rigore formale fin dalla chiave estetica scelta da Tobias Hoheisel per la scena unica – uno spazio nero, completamente spoglio, di opprimente verticalità – illuminata dalle taglienti luci livide dello stesso Carsen con Peter van Praet e per gli austeri costumi “total black”, che, pur senza sacrificare i singoli, danno un rilievo speciale alla dimensione corale della rappresentazione, come impone il teatro classico. La dimensione corale è anche enfatizzata dalle coreografie di Philippe Giraudeau, molto presenti, quasi un omaggio alla tradizione francese della “tragédie-ballet”, cui l’ispirazione di questo Gluck francese non è del tutto estranea. Coreografate efficacemente sono le movimentate scene di massa – come la folgorante scena iniziale con Ifigenia e le sacerdotesse “prefiche” o quella, riuscitissima, degli incubi dell’omicida Oreste tormentato dalle furie  – più incisive rispetto ai passaggi più raccolti, che fanno leva piuttosto sul carisma dei tre protagonisti. 

Di questi, da autentico fuoriclasse della scena, Stéphane Degout è il più incisivo nel rendere la statura tragica del suo personaggio, Oreste, attraverso una piena adesione allo stile gluckiano e un formidabile rilievo alla parola drammatica. Molto riuscite anche le prove di Gaëlle Arquez come Ifigenia e di Paolo Fanale come Pilade, anche se in entrambi, e di più nel secondo, sembra talora prevalere la dimensione canora a scapito di una resa a tutto tondo dei rispettivi personaggi. Inappuntabile il resto della distribuzione vocale, nel quale spiccano la sanguigna figura del Thoas di Alexandre Duhamel e le vibranti presenze delle sacerdotesse di Catherine Trottmann (anche Diana) e Charlotte Despaux (anche donna greca).

Aggiunge smalto all’impeccabile esecuzione musicale di questa Iphigénie la presenza dei formidabili musicisti del Balthasar Neumann Ensemble e Coro (quest’ultimo in buca per lasciar campo libero alle coreografie): suono trasparente, dinamiche vigorose, impennate vertiginose nelle strette drammatiche ma soprattutto grande rilievo alla parola, specie nei tesissimi recitativi, sono gli ingredienti principali. Va reso il giusto merito, naturalmente, anche della direzione sensibile ed esperta di Thomas Hengelbrock, che torna a misurarsi con il Gluck francese un anno dopo la ripresa del marcante successo di Orphée et Eurydice nello storico allestimento di Pina Bausch per l’Opéra national de Paris del 2005. 

Pubblico folto alla prima nella sala di Avenue Montaigne. Successo incondizionato con applausi ritmati e numerose chiamate.

 

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