“La vedova allegra” al Macerata Opera Festival
Il titolo di Franz Lehár ha inaugurato il festival e segnato il debutto del genere dell’operetta all’Arena Sferisterio
Opera inaugurale del Macerata Opera Festival, La vedova allegra di Franz Lehár segna anche il debutto del genere dell’operetta all’Arena Sferisterio. Scelta che fin dall’annuncio dei titoli della stagione ha lasciato un po’ perplessi, e che in effetti ha avuto un buon esito solo sul piano scenografico, mentre musicalmente si sono notate alcune criticità.
Se quando si sentono le prime note nella grande arena all’aperto la prima impressione è sempre quella di una debolezza e dispersione di suono, sensazione che si attenua nel corso dello spettacolo, questa volta la scarsa udibilità è stata elemento reale almeno per tutto il primo atto. Netto il contrasto tra i dialoghi parlati, amplificati, e lo scarso volume delle parti cantate, sorrette da un’orchestra altrettanto povera di suono. Marco Alibrando, alla guida della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana, ha probabilmente inteso non coprire la voci con una orchestra la cui grande formazione è nelle intenzioni dell’autore dovuta più alla disponibilità di un’ampia tavolozza timbrica che alla possibilità di massa sonora.
Non convincente Mihaela Marcu, soprano rumeno nei panni della protagonista Hanna Glawari e più volte interprete di questo ruolo: di bella presenza, ma poco chiara nella dizione, debole nella emissione ( appena migliorata nel secondo e terzo atto) e non ben sorretta nel vibrato. Più corretta la Valencienne di Cristin Arsenova, e sensibilmente migliore anche il versante maschile con Alberto Petricca nel barone Zeta, sicuro anche nella recitazione, Alessandro Scotto di Luzio nel conte Danilo, che specie nel terzo atto ha dato prova di buona emissione, e Valerio Borgioni in Camille de Rossillon, apprezzabile nei momenti lirici e nei pianissimo ma forzato nel registro acuto. I numerosi altri interpreti dei personaggi secondari, affiancati dal Coro Lirico Marchigiano “Bellini”, più impegnati nella recitazione parlata che nel canto, hanno dato buone prove attoriali; su tutti è emerso il vivace Njegus di Marco Simeoli, parte che il regista Arnaud Bernard, alla sua prima produzione maceratese, e il drammaturgo e coreografo Gianni Santucci, che ha tradotto e rivisto il libretto di Victor Léon e Leo Stein, hanno voluto rafforzare attribuendogli battute e gag inedite con inflessioni napoletane.
Altri innesti hanno riguardato la drammaturgia e la musica, che ha visto citata la marcia funebre dalla seconda sonata di Chopin ad inizio opera, ad accompagnare il feretro del defunto marito della protagonista, tra lamenti e commenti sardonici del corteo funebre e effluvi di incenso; altre citazioni nel terzo atto, dal can can di Offenbach e Cole Porter e dalla Quarta di Mahler, per rievocare il colore della Belle Époque in un tripudio di grisettes sgambettanti e gonne con balze ispirate al tricolore italiano. Pregevoli alcune trovate registiche, come un paio di “fermo immagine” che hanno immobilizzato il palcoscenico ad inizio secondo atto e nel duetto “Tace il labbro”, mentre i fuochi d’artificio del finale hanno suggellato uno spettacolo festoso e all’insegna del divertimento, che il pubblico ha condiviso con applausi a scena aperta.
Pezzo forte dello spettacolo indubbiamente i bellissimi costumi d’epoca disegnati da Maria Carla Ricotti, valorizzati dalle scene molto semplici ma suggestive di Riccardo Massironi e dalle luci di Fiammetta Baldiserri.
Uscendo dal teatro, sulla piazza antistante, una installazione audio video ha fatto porre l’interrogativo: perché? Almeno senza il sonoro…
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