La Tosca bolognese al maggio musicale di Wiesbaden
L’opera pucciniana con i complessi del Teatro Comunale di Bologna ospiti agli Internationale Maifestspiele dell’Hessisches Staatstheater
Se è vero che al di là della Alpi l’Italia resta il paese dell’opera, è altrettanto vero che raramente le produzioni liriche del nostro Paese valicano i confini nazionali poiché generalmente considerati, a torto o a ragione, troppo legati a modi museali e poco in sintonia con le concezioni drammaturgiche più in sintonia con i nostri tempi. Ovviamente, poiché lo spettro del gusto del melomane è ampio, quello che per alcuni è un limite per altri è una virtù. Capita quindi che l’Hessisches Staatstheater di Wiesbaden inviti il Teatro Comunale di Bologna con una sua recente produzione di Tosca, non esattamente innovativa, per dare una patina di italianità al suo omaggio a Giacomo Puccini all’interno dei Maifestspiele, il tradizionale festival nel pre-finale di stagione fatto di grandi nomi in produzioni per lo più del teatro e ospitate di produzioni foreste.
Dunque nel maggio musicale di Wiesbaden, fra una massiccia presenza di Wagner (un Ring e un Lohengrin domestici ma infarciti di stelle “bayreuthiane”) e un paio di Verdi maturi (un nuovo Falstaff con Željko Lučić protagonista e un Otello “della casa”), per non dimenticare il centenario pucciniano trovano posto anche una Turandot in una produzione del teatro arricchita dalla presenza di Anna Netrebko e consorte (con tutto esaurito assicurato per le due recite previste) e, appunto, questa Tosca bolognese.
Allestimento già rodato, concepito per il Comunale Nouveau con tutti i limiti di quel palcoscenico, ma particolarmente adatto per l’esportazione (è stato in Giappone nello scorso autunno): pochi oggetti sulla scena e proiezioni come fondali (piuttosto curiosa quella di Palazzo Farnese già nel “Te Deum” del finale primo) organizzati da Manuela Gasperoni con un segno del tutto coerente con l’iconografia tradizionale di quest’opera, come i costumi di Stefania Scaraggi intonati all’epoca della vicenda. Il regista Giovanni Scandella rinuncia a qualsiasi significativo segno registico, limitandosi a gestire entrare e uscite degli interpreti lasciati liberi di caratterizzare il proprio personaggio secondo le proprie consuete modalità operative. E dunque il Cavaradossi di Roberto Aronica è soprattutto il classico tenore concentrato sull’acuto e negligente sul resto, specie sul fraseggio sempre generico e sull’interpretazione non pervenuta. Più emotivamente partecipata la prova di Carmen Giannattasio, inizialmente un po’ prudente ma la sua Tosca cresce sulla distanza anche se non sembra avere il peso specifico necessario per il ruolo, mentre Gabriele Viviani gigioneggia non poco per il suo Scarpia male assoluto, vocalmente comunque molto affidabile. Nei ruoli minori, il sagrestano di Paolo Maria Orecchia si muove bene nel territorio dei buffi di scuola antica, e poche sorprese riservano anche Christian Barone come Angelotti, Bruno Lazzaretti come Spoletta e Nicolò Ceriani come Sciarrone. Molto corposa, invece, la prova del Coro del Teatro Comunale preparato da Gea Gatti Ansini (eagghindato dalla costumista come in un quadretto da “Grand Tour” della campagna romana), che si guadagna meritatamente il caloroso applauso del pubblico alla fine del primo atto.
Di valore anche la prova dell’Orchestra del Teatro Comunale, alla quale la direzione musicale di Oksana Lyniv da grande rilievo, talvolta a scapito delle voci. Non tratta di una di quelle interpretazioni che fanno scoprire un Puccini nuovo ma rende giustizia alla densità sinfonica della scrittura pucciniana, mai semplice accompagnamento delle voci.
Il pubblico non è mancato in entrambe le recite e soprattutto non sono mancati gli applausi, molto generosi per tutti gli interpreti.
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Apprezzate le prove di Chailly, Netrebko, Tézier e del coro, interessante ma ripetitiva la regia di Muscato