La magia del Mandarino
Notevolissimo il Bart ó k della coreografa Éva Duda con la Budapest Festival Orchestra.
18 ottobre 2023 • 3 minuti di lettura
Roma. Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone - Sala Santa Cecilia
Il Mandarino miracoloso
15/10/2023 - 15/10/2023Nella settimana di avvio della propria programmazione sinfonica 2023-24, l’Accademia di Santa Cecilia è riuscita a proporre una doppia presenza di Iv á n Fischer: oltre all’appuntamento inaugurale della stagione con l’Orchestra dell’istituzione ospitante, il direttore ungherese ha guidato la Budapest Festival Orchestra (che ha fondato con Zolt á n Kocsis nel 1983) in un concerto fuori abbonamento, interamente dedicato a due tra i massimi compositori magiari, Liszt e Bart ók. La compagine ungherese è spesso in tournée col suo direttore stabile, e anche in Italia se ne sono apprezzate di recente le qualità proprio in titoli musico teatrali; tuttavia, l’ appuntamento qui si annunciava particolarmente interessante per l’inclusione nel programma di Il mandarino miracoloso (o meraviglioso, o ancor meglio prodigioso), non nella più consueta – ma neppure poi tanto frequentemente ascoltabile – versione di suite da concerto, bensì in compiuta e rarissima versione scenica, nella realizzazione della coreografa É va Duda e in coproduzione con Bridging Europe Festival (il festival promosso dalla stessa BFO, che ha a sua volta ospitato l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia nella porzione di palinsesto presso la capitale magiara).
Le attese sono state ampiamente ripagate, e già nella porzione meramente sinfonica: da un lato, un’orchestra di straordinaria compattezza, di encomiabile precisione d’emissione (anche nei livelli d’intensità del pianissimo), di sonorità ben caratterizzate – dal chiaro al brunito – senza essere esteriormente spettacolari; dall’altro, una bacchetta fluida ma prensile, capace di plasmare ottimamente il fraseggio dell’assieme. I due lavori lisztiani hanno esemplato due aspetti della cultura dell’autore: dapprima una Rapsodia ungherese (strabiliante la sonorità del cimbalonista Jenő Lisztes ), quindi il Secondo concerto per pianoforte e orchestra, emblematico di quella concezione ricorsiva ‘a due dimensioni’ della forma (i singoli episodi sono insieme movimenti di un concerto/sinfonia e parti di una forma-sonata) impensabile fuori dello scandaglio post-beethoveniano in proposito; qui il solista, Dejan Lazi ć , ha mostrato doti di notevole fluidità e solidità tecnica, soprattutto nelle bravure di velocità, ma pure di saper fraseggiare bene con direttore e orchestra.
Le doti sopra rimarcate dell’orchestra sono rifulse al massimo grado nella partitura di Bart ó k, dove la complessità nell’articolazione di diversi piani sonori le ha rese pressoché necessarie, anche nella coniugazione col gesto dei danzatori. La coreografia di É va Duda ha sia conservato il carattere di ‘pantomina’ – come da complemento del titolo del capolavoro del 1918-19, allestito solo nel ‘26 – sia valorizzato una componente autenticamente danzata, declinata peraltro in un lessico particolarmente atletico ed entro una formulazione spaziale del tutto nuda, quanto allusiva: i due livelli dei praticabili per l’azione, collocati in sopraelevazione dietro l’orchestra e accessibili da scale, generavano uno spazio dentro-fuori la porzione perigliosa e malfamata ma vitale della città moderna, quindi uno schiacciato sottopalco nascosto (la zona urbana più sordida, dalla quale i tre Vagabondi gettano in scena la Donna e assaltano le tre vittime), infine in alto la piattaforma che servirà per l’amplesso finale, ovvero per l’affermarsi potente quanto tragico della natura contro la città: temi espressionisti, sì, ma riletti da Bart ó k col suo inconfondibile segno estetico-tecnico d’immanenza ed organicità musicale. Due sole, ma molto efficaci, le sottolineature negli elementi di costumi e luci: l’ingresso del Mandarino sotto un grande velo nero agitato da tutti i performer (l’oscura incommensurabilità del personaggio-simbolo), e la luce verdognola – colore già nello scenario originale – nel manifestarsi del prodigio dell’incessante quanto perturbante forza sessuale. Nello sprigionare dosata energia sulle strette superfici, nel coordinarle con nettezza e forza espressiva alla ricca figuralità musicale, tutti gli interpreti della É va Duda Dance Company si sono rivelati straordinari, singolarmente e nella disciplina collettiva, ma una nota speciale va fatta per la bravissima Vera Bundschuh.
Molti e assai calorosi gli applausi finali, di un pubblico catturato, ma – a torto per gli assenti – non numeroso.