La follia italiana del tamburello

L’associazione Frame Drums Italia alla scoperta dei tamburelli italiani nelle Marche

Frame Drums Italia
Recensione
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Montelparo, Residence La Ginestra
Frame Drums Italia 2021 - Follia italiana
03 Settembre 2021 - 05 Settembre 2021

L’associazione Frame Drums Italia ha celebrato, con coraggio ed ambizione, dal 3 al 5 settembre, i trionfi e le conquiste musicali dei tamburi a cornice italiani. Il socio fondatore, Paolo Rossetti Murittu, citando un’antica danza iberica, titola così: “Follia Italiana”, le tradizioni e innovazioni del tamburo negli itinerari musicali in giro per l’Italia. Un’edizione dunque concepita come viaggio musicale da sud verso nord in compagnia di Nando Brusco, Luca De Simone, Andrea Piccioni, Marco Meo, Murittu, con il supporto di Alessandro Darsinos e con la partecipazione straordinaria di Riccardo Tesi, da gustare proprio dove spira il vento in collina, nella bellissima zona di Montelparo (presso il Residence La Ginestra), sempre più in simbiosi con la comunità nei luoghi del saltarello marchigiano.

Inaugurato il 3 mattina proprio con un seminario sul "saltarello"– ballo di corteggiamento del centro Italia – interpretato da Meo nelle sue sfaccettature più locali, e con la partecipazione di una giovane ballerina, il festival prende forma attorno al tamburello.

Una celebrazione nella celebrazione il corso a seguire “tamburi a cornice e musica antica” di Murittu, ideato su altrettanti saltarelli, ma più antichi – quello medievale di Landini ad esempio – Ciaccone e Follie. Murittu è quel tipo di tamburellista che si definirebbe – alla De Crescenzo – tamburellista “d’amore”, sempre attento al fraseggio musicale oltre che al beat, alla ricerca di timbri, effetti su chiuse; i suoi trilli sulle tacchiolette (castagnette italiane) – antichi idiofoni in legno che personalmente forgia - sono di magiche invenzioni e di mondi sonori mai uditi.

Sullo stesso filo interpretativo – seguace del maestro Alfio Antico – il calabrese Nando Brusco suona il tamburo da cantastorie, abbraccia il grande strumento con aurea mistica, alla ricerca di un'essenza che per i tamburellisti dal duttile repertorio è sempre cangiante. L'aspetto centrale dell'approccio ed esecuzione del favoloso musicista calabrese risiede proprio nel suo modo di fare musica: in maniera diretta, con pregevole comunicativa.

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Ma non è solo lo strumento che colpisce, l’interpretazione dello spazio che lo circonda, che circonda il tamburellista e le loro dinamiche ed equilibri. L’approccio del corpo allo strumento – sorreggerlo con la sinistra e percuoterlo con la destra – il suono del tamburo, più di ogni altro strumento, sembra venire dal basso, dal ventre, suggerisce Andrea Piccioni. Per dirla appunto alla Piccioni nel drumming “mente, corpo e tamburo” sono in equilibrio nelle trasformazioni di energia dall’esecutore al pubblico. Piccioni ha reinventato, forse anche standardizzato ciò che oggi chiamiamo il "tamburello moderno" con un approccio filosofico e linguistico mutuato dall’onomatopea orientale.

Sotto le dita, agili, armato di tocco guizzante come fiamme incalzava sempre di più e non smetteva di stupire il gioco di ritmi intrecciati tra sonagli e battiti. Spettacolare. Balzi acrobatici da arte marziale. Funambolico e di mestiere. Non è corretto parlare di virtuosismo per Piccioni, il tutto riesce millimetrico, mai sforzato ma fresco, facile, intangibile dalla fatica. Il tamburello diventa quindi emanazione diretta dell'anima, non si avverte mai separazione tra strumento ed interprete. Mai un calo di tensione. Piccioni è quindi – per dirla alla De Crescenzo – tamburellista di “libertà”.

Il festival prevedeva poi un lungo workshop con Riccardo Tesi – che senza enfasi ha letteralmente fatto la storia dell’organetto in Italia – assistito alle percussioni da Piccioni e Darsinos che contestualizzavano i tamburi nell’arte dell’accompagnamento, per dare un “perfetto vestito ritmico” al repertorio d’ensemble, proseguendo con sessioni sulle tecniche strumentali, i ritmi, e in preparazione per il concerto degli studenti. E ancora, per la prima volta al festival Luca De Simone – direttamente da San Nicola la Strada – con un corso dal chiaro titolo “La Tammorra: ritualità e canti di lavoro, canti a vattitore", con antiche “suonate” di Giovanni Monte, e tecniche di Franco Faraldo. Slanciato e gentile, serba sorprendenti grinta e potenza: la voce del suo tamburo esce calda con colore pieno, affondi compresi con una mano destra agile, di speciale sensibilità e risorse espressive quando dà forma a queste antiche “suonate”, in un crescendo massiccio e di sonorità penetrante, appassionata.

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Nelle diverse sale, al resort, si potevano ascoltare i tanti strumenti dei liutai costruttori ospiti del festival: Majid Karami iraniano d’origine, dagli anni Ottanta in Europa, prima Germania poi Spagna e oggi nuovamente Germania, Colonia. Continuamente inventa nuovi brevetti per i suoi tamburi, le accordature, i materiali. Bruno Spagna, invece – napoletano di origine, ma vissuto in giro nel modo – crea tamburelli di sublime fattura perfezionando l’equilibrio tra legno-frequenze, pelle (fatte a mano e di capretto) e sonagli.

Alla fine, per dirla alla Spagna, ci si converte inevitabilmente al “tamburellismo”.

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