La classicità del Mahler di Chung 

Al Teatro La Fenice un nuovo grande successo per il direttore coreano con la Sinfonia n. 2 di Gustav Mahler 

Myung-Whun Chung alla Fenice
Myung-Whun Chung alla Fenice
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
Myung-Whun Chung alla Fenice
09 Marzo 2019 - 10 Marzo 2019

Si direbbe che per il direttore coreano il Teatro La Fenice sta sempre più diventando luogo di elezione. In una stagione che l’ha già visto protagonista a inizio stagione del doppio Verdi della Messa da Requiem e del Macbeth, nello stesso teatro Myung-Whun Chung affronta ora un altro passaggio fondamentale con la monumentale Sinfonia n. 2 in do minore di Gustav Mahler, “Resurrezione”. Un grande viaggio in cinque vasti movimenti che parte dalla Totenfeier, cerimonia funebre, dell’Allegro maestoso del primo movimento con quel cupo trascinare verso il basso quegli aneliti verso la vita che, attraversati il rasserenante Andante molto comodo del secondo movimento e lo Scherzo (con i suoi echi di musica boema così terreni) del terzo movimento, si compiono solo nell’ “Urlicht” del quarto movimento, che introduce la voce umana, e soprattutto nel luminoso finale sui versi del canto sacro di Friedrich Klopstock e dello stesso Mahler. “Ho chiamato Totenfeier il primo movimento, e se vuoi saperlo, si tratta dell'eroe della mia Sinfonia in re maggiore che io porto a seppellire da un osservatorio più alto raccolgo la sua vita in un limpido specchio. – scriveva Gustav Mahler nella nota di accompagnamento alla sua Seconda – E, al tempo stesso, si pone la grande domanda: perché sei vissuto? perché hai sofferto? E tutto questo solo un grande, atroce scherzo? Chiunque senta riecheggiare nella sua vita questo richiamo, deve rispondergli, e questa risposta la do nell'ultimo movimento”. 

Nell’annoso dilemma se Mahler sia l’ultimo dei classici o il primo dei moderni, diversamente dal Verdi della recente Messa da Requiem Chung sembra piuttosto smussare la destrutturazione delle forme operata dal compositore austriaco e puntare piuttosto a una sorta di strutturale equilibrio che fin dal primo movimento anticipa in qualche modo il senso del finale. Anche quegli “inarrestabili tempi di sinfonia che girano vanamente su sé stessi a modo di perpetuum mobile”, secondo le parole di Theodor Adorno, nella direzione di Chung sembrano piuttosto un omaggio estremo alla grande stagione del sinfonismo più che un sintomo della fine ineluttabile di quella stagione. Come del resto conferma la sua preferenza per un suono pieno e lussureggiante già dalle prime battute del lavoro che diventa una vera e propria orgia sonora nello sfolgorante corale della strofa finale del “Risorgerai, sì, tu risorgerai, cuore mio, in un istante.” 

Impressiona molto in questa esecuzione il livello di intesa fra il direttore coreano e l’Orchestra del Teatro La Fenice, che dà il meglio di sé in un repertorio meno consueto (anche se va detto che Mahler al patrimonio del Teatro fin dagli anni lontani in cui Elihau Inbal era direttore musicale del teatro). Di ammirevole compattezza il corpo degli archi ma assolutamente eccezionale il nutritissimo gruppo degli ottoni dispiegati per l’occasione così come gli incisivi assoli dei legni. Non è da meno il Coro che interviene con vigore di grande intensità drammatica nel finale. Aggiungono smalto le due soliste, il soprano Zuzana Marková ma soprattutto il contralto Sara Mingardo, che con il suo “Urlicht” segna il passaggio emotivamente più intenso dell’esecuzione. 

Doppio appuntamento con Mahler da tutto esaurito. Grande successo. 

 

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