Jesi: tre donne e un pozzo

In prima assoluta Delitto all'isola delle capre di Marco Taralli su libretto di Emilio Jona

Delitto all'isola delle capre (Foto Binci)
Delitto all'isola delle capre (Foto Binci)
Recensione
classica
Teatro “G.B. Pergolesi”, Jesi
Delitto all'isola delle capre
25 Novembre 2022 - 27 Novembre 2022

Il Teatro “G.B. Pergolesi” di Jesi ha ospitato la prima esecuzione assoluta di “Delitto all’isola delle capre”, musiche di Marco Taralli e libretto di Emilio Jona, tratto dal dramma omonimo di Ugo Betti, drammaturgo oggi semidimenticato ma noto e rappresentato negli anni ’50,  di cui quest’anno ricorre l’ anniversario della nascita avvenuta a Camerino 130 anni fa.  Si tratta di una nuova commissione e nuova produzione della Fondazione Pergolesi Spontini in coproduzione con il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona.

Il dramma di Betti, scritto nel 1948 e messo in scena per la prima volta a Roma nel 1950, è come indica il titolo un vero e proprio giallo che affronta temi arcaici e nello stesso tempo attuali,   incentrati  sull’intreccio delle passioni eterne degli uomini.

«È un vero e proprio noir- racconta Taralli- una storia senza lieto fine, senza vincitori e soprattutto senza buoni, in cui il dipanarsi degli eventi fa uscire fuori la parte peggiore dell’anima di ognuno. È un soggetto che ho nella mente e nel cuore da più di 30 anni - prosegue - Ero ancora studente quando lo lessi per la prima volta, già avevo in mente il teatro musicale, e rimasi immediatamente affascinato da questo plot».

«Del testo di Betti - dice il librettista Emilio Jona, che vanta collaborazioni, tra gli altri, con Giacomo Manzoni, Luciano Berio e Luigi Nono - mi hanno prima di tutto interessato i suoni: il vento che spazza un’isola deserta, il rumore delle mandibole delle capre che brucano l’erba in prati desolati, lo sbattere di una persiana irraggiungibile al primo piano di una casa in rovina, le voci deformate che provengono da un pozzo che sta al centro della scena e del dramma. Poi le storie e la personalità delle tre donne sole che abitano quel  luogo, la loro insolita sorte di cittadine diventate pastore di capre, il loro radunare in sé qualcosa di arcaico, da tragedia greca e insieme di contemporaneo, sentimenti, comportamenti, rapporti, affetti senza tempo».

Al centro della vicenda, la cui  struttura narrativa e drammatica appare immediatamente traducibile nel linguaggio dell’opera lirica, è un gruppo di tre donne, composto da una madre, Agata,  indurita dalla vita, amara, ma ancora bella, da una figlia adolescente, Silvia,  da una cognata, Pia,  ancora giovane e piacente,  in cui si insinua un uomo, dal nome emblematico, Angelo, giovane, sicuro di sé, profittatore  e  prepotente. Viene da lontano, dice di essere stato amico dell’uomo che quelle donne ha abbandonato alcuni anni prima, che è morto lasciandogli il compito di tornare al posto suo tra di loro. Con il suo arrivo, il suo irrompere nella loro arida e desolata isola,  in cui hanno scelto di vivere per allontanarsi dalla civiltà conformista, si risveglieranno pulsioni ancestrali che si credevano sopite, di cui il pozzo diventa il simbolo, e la vita delle tre donne ne sarà sconvolta.

Per questo allestimento la regia è di Matteo Mazzoni e le scene e i costumi sono firmati da Josephin Capozzi, vincitrice della II edizione del Concorso “Progettazione di Allestimento scene e costumi di Teatro Musicale” dedicato a Josef Svoboda e riservato a iscritti e/o neodiplomati al Biennio di Specializzazione in Scenografia delle Accademie di Belle Arti di Macerata, Bologna e Venezia. La scenografia, che in luogo della “villa decrepita e isolata” indicata nel libretto mette una roulotte e il suo spazio esterno con tavolo e sedie di plastica, non mette in risalto i valori più interessanti e se vogliamo psicanalitici del libretto: l’emergere delle pulsioni, l’affacciarsi di desideri repressi, il nuovo filo di relazioni anche contraddittorie che nasce tra le donne dopo l’arrivo dell’uomo e l’indagine nella loro coscienza e incoscienza,  che avrebbero richiesto una ambientazione  più simbolica e  fuori da ogni tempo.  

Libretto quindi molto intenso, con versi che hanno la libertà della prosa e che Taralli intona con un declamato scandito e chiarissimo, che si evolve in canto solo nei momenti in cui  i personaggi si sentono maggiormente scossi nella loro emotività: così Agata canta quando racconta la propria aridità di animo, la propria apatia lì nell’isola abitata solo dalle capre, che la porta ad essere indifferente anche nei confronti della figlia; e Angelo canta quando le rivela la sua passione nata da ciò che raccontava di lei il marito defunto. Se la linea vocale è molto lineare e priva di melodia, al contrario la scrittura musicale per l’ensemble di dieci strumenti  (il Time Machine Ensemble diretto da Marco Attura) è timbricamente molto ricca ed espressiva, di impianto tonale, e vi emergono interessanti scorci melodici o concitati ostinati ritmici  che assecondano le situazioni drammatiche.

Le parti vocali sono sostenute dal mezzosoprano Sofia Janelidze in Agata, il soprano Yuliya Tkachenko nella figlia Silvia, il soprano Federica Vinci nella cognata Pia;  Andrea Silvestrelli, basso,  interpreta invece Angelo e il tenore Alessandro Fiocchetti  Edoardo, il vettore; parti naturalmente difficili da ritenere a memoria per la loro uniformità melodica, eseguite con dizione molto chiara,  e che richiedevano capacità di recitazione più che virtuosismo vocale.

Pieno il teatro e incuriosito il pubblico, per questa opera nuova che interpreta con sensibilità contemporanea la grande tradizione del teatro musicale italiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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