Il presente e il passato di Frankenstein
Prima mondiale alla Monnaie di Bruxelles della nuova opera di Mark Grey sulla Creatura di Mary Shelley
Una nuova opera riuscita, godibile dal profano dell’opera come dall’appassionato più smaliziato, che regala un crescendo emotivo, sia dal punto di vista sonoro che visuale, che affascina e alla fine conquista senza eccezioni ponendo tanti interrogativi, sempre attuali, sul rapporto tra Creatore e Creatura, sull’accettazione del Differente, tra Macchina e Uomo, sui benefici ma anche sui rischi che ogni sperimentazione può comportare. La musica del compositore statunitense Mark Grey fonde sonorità gregoriane e ottocentesche con rumori industriali ed elettroacustici, mostrando di aver bene assimilato anche le sperimentazioni strumentali e vocali del Novecento. Complessità di riferimenti musicali con un risultato finale un po’ disomogeneo nell’intensità, in ogni caso perfettamente padroneggiata dal giovane maestro libanese-polacco Bassem Akiki che ha saputo ben rendere fluido e preciso il dipanarsi della nuova partitura, inizialmente più descrittiva che lirica, con una grande attenzione ai diversi tempi richiesti all’orchestra nei differenti momenti drammaturgici, includendo con naturalezza i suoni di razzi in partenza all’apertura dell’opera e la cadenza del respiro che è la prova della vitalità. L’idea di base e la regia della complessa macchina in scena sono del catalano Alex Ollé, componente del collettivo creativo La Fura Dels Baus, che in collaborazione con la libretista Jùlia Canosa I Serra, partendo dal famoso omonimo romanzo di Mary Shelley, ha immaginato che in un lontano futuro degli scienziati troveranno la “Creatura” ben conservata nei ghiacci del Polo Nord e la riporteranno in vita, ma non solo il corpo, anche la sua memoria. Alla Creatura così torneranno in mente, un poco alla volta, tutti gli avvenimenti della sua tragica breve vita, ne riproverà le emozioni, sopratutto di rifiuto e di solitudine, che l’avevano fatta diventare un assassino. Avvenimenti passati rivissuti in scena, un lavoro complesso che riesce a ben mescolare presente e passato, reale e immaginato, senza fare confondere, anche grazie ad un uso esemplare di contributi video, sempre discreti e funzionali, che mai ti fanno pensare di essere al cinema piuttosto che all’opera. Contributi video firmati dall’artista visuale Franc Aleu e particolarmente belli sono quelli sulla natura del primo atto, in stridente contrasto con la struttura scenografica di base che riproduce un freddo,solo artificiale, avvenieristico laboratorio medicale circondato da un anfiteatro da cui osservare, studiare e assistere, come in uno spettacolo nello spettacolo, la rinascita della creatura costretta a rivivere il suo doloroso passato. Una messa in scena dominata da un grande cilindro, non nuovo come immagine, che è la macchina della rinascita, ma i cui movimenti in alto e in basso nello spazio determino pure i diversi salti temporali del racconto, e che si fa anche schermo per i video all’occorrenza. I bei giochi di luci di Urs Schönebaum contribuiscono poi a creare effetti di realtà tridimensionale alla memoria. Proprio per la complessità della macchina scenica, l’opera è stata posticipata di tre anni rispetto alla data di debutto prevista, per celebrae i duecento anni della pubblicazione del romanzo di Mary Shelley, dovendosi attendere la fine dei lavori di ristrutturazione del teatro della Monnaie poiché non era tecnicamente realizzabile nella sede provvisoria di Tour&Taxi. Ad interpretare il dottor Victor Frankenstein è il baritono texano Scott Hendricks, amico del compositore, che ha scritto la parte sapendo che sarebbe stato lui ad interpretarlo, tagliata su misura, quindi, e si sente. Ma ancora più convincente la Creatura del tenore australiano-finlandese Topi Lehtipuu, dal repertorio che lo ha visto specializzare allo stesso tempo nell’opera barocca come in quella contemporanea. Perfetto per la parte, perché dalla voce dal timbro antico e moderno allo stesso tempo, domina la scena tutto nudo, solo con un pesante trucco, riuscendo letteralmente a dare vita e umanità alla Creatura. Molto toccante, in partcolare, ed intenso il suo duetto con il “padre” nel secondo atto. In generale semplici ma d’effetto i costumi di Lluc Castells, forse solo un po’ troppo semplicisti quelli degli uomini del futuro, semplicità minimalista che invece giova molto agli abiti che richiamano il primo Ottocento, epoca in cui la Creatura è stata originariamente assemblata. E, per inciso, nell’opera non manca neppure del macabro humor, specialmente nel modo in cui è mostrato Frankenstein, con gli attrezzi da macellaio, al lavoro tra cadaveri per dare una fidanzata alla Creatura. Tornando agli interpreti, particolarmente riuscito anche il ruolo di Elisabeth, la fidanzata di Frankenstein, interpretata in modo toccante dal soprano tedesco Eleonore Marguerre con il suo canto a tratti così angosciosamente contratto. Ma tutto il cast, ed il coro, da buona prova, da Andrew Schroeder come Robert Walton, direttore del nuovo esperimento che riesce a ridare vita alla Creatura, a Hendrickje Van Kerckhove che intrepreta la sfortunata Justine, a Christopher Gilet nel ruolo di Henry, l’amico di Frankenstein. Davvero una produzione nel complesso da premio.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
La prima settimana della frastagliata rassegna di musica contemporanea con Saunders e Chin nel concerto di apertura, Vivaldi con la Venice Baroque Orchestra, un David Lang di guerra e un’intensa serata Ustvolskaya con Kopacinskaja e Hinterhäuser
La versione di Massenet, la congiunzione astrale e Clouzot