Il fascino di Jarrett
Il pianista con i suoi complici affascina il pubblico del Teatro D'Annunzio.
Recensione
jazz
Jarrett come un provetto incantatore di serpenti con il suono straordinario del pianoforte può stordire, è utile andare ai concerti pronti a resistere per non cascare nel suo abbraccio sinuoso. E' così da anni e regolarmente lo scenario si è ripetuto nell'evento di apertura della 36esima edizione di Pescara Jazz. Certo non solo il suono, anche la capacità unica del pianista di rileggere canzoni, standard e ballad, come il colore del blues sempre presente, rimangono impresse. La forma trio è un delicato spazio creativo che Jarret sa gestire al meglio, non solo con la complicità di due grandi come Peacock e DeJohnette ma anche nel ciclico rilascio di nuclei melodici come piattaforme per escursioni improvvisative comunque sempre ben misurate. Ma se proviamo a grattare questa ricca e coinvolgente superficie si scopre che sotto c'è in realtà una trama fragile e forse, dopo 25 anni, anche logora. La musica non ha una direzione, si muove tra le notevoli capacità espositive dei tre in una eleganza formale che spesso risulta fine a se stessa. Il fascino del suono, del gesto. A Pescara non sono certo mancati momenti forti in particolare nella delicatissima "Little man, you've had a busy day", ballad dove i tre mettono in gioco un notevole interplay. La lettura di "Django" attraversata da nervose inflessioni blues ci regala forse il Jarrett più convincente, che suona e improvvisa in modo profondo. Il monkiano "Straight No Chaser" si apre con una astratta costruzione ritmica di DeJohnette, pregevole ambientazione della quale nessuno approfitta. Tutto il resto è lavoro di gran classe e maestria, non di più. Va però detto che questa volta Jarrett non ha fatto le bizze, ha solo preteso un intervento sulla viabilità cittadina. La forza del mito.
Interpreti: Keith Jarrett, pianoforte Gary Peacock, contrabbasso Jack DeJohnette, batteria
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