Il Capriccio di Strauss fra teatro e storia

L’Oper Frankfurt presenta una nuova edizione della problematica opera straussiana del 1942

Capriccio, Strauss - Francoforte
Foto di Barbara Aumueller
Recensione
classica
Oper Frankfurt
Capriccio di Richard Strauss
14 Gennaio 2018

“L’opera è un assurdo, credete a me. Si impartiscono comandi cantando e si fa politica in duetti. E con soavi melodie si uccide col pugnale”, dice il direttore del teatro, La Roche, nella lunga conversazione che anima gli ospiti della contessa Madeleine nel salone della sua residenza poco distante da Parigi. Si chiacchiera, si discetta di mode teatrali, si amoreggia a colpi di versi e di melodie. Non si fa davvero politica in duetti, ma è inevitabile che affrontando quest’opera prodotta dal dorato tramonto straussiano e lontanissima dall’attualità non si facciano i conti con il contesto nel quale Capriccio viene al mondo. Originato da un’idea di Stefan Zweig, esule da tempo e suicida per disperazione solo qualche mese prima, vede la luce sulla scena del Nationaltheater a Monaco del 1942, in una Germania nazista che comincia a soffrire le ferite dei frequenti bombardamenti e i primi colpi alla sua invincibilità (e lo stesso Nationaltheater è ridotto a un ammasso di macerie fumanti soltanto un anno dopo). Ma non basta: i crepuscolari accordi del sestetto d’archi, che apre l’opera, li ascolta fra primi Baldur von Schirach, nella sua residenza di governatore di Vienna, e il potente Joseph Goebbels concede la sua benedizione, anche grazie all’operoso zampino di Clemens Krauss, amico di Strauss e suo collaboratore per il libretto.

Il problematico contesto storico era la chiave scelta in un allestimento dell’Opera di Colonia di una decina di anni fa, visto anche a Edimburgo, che trasformava quel discettare di musica e poesia in una tragica mascherata sull’orlo dell’abisso nazista. Da quell’idea non si allontana troppo, benché con esiti piuttosto diversi, il nuovo allestimento firmato da Brigitte Fassbaender per l’Oper Frankfurt: la scena di Johannes Leiacker non è un fastoso salone rococó ma il jardin d’hiver con una palco nascosto da un fastoso sipario dipinto di una dimora di campagna mentre Parigi si immagina infuri il conflitto come fan pensare gli eleganti abiti anni Quaranta e qualche traccia furtiva. Le vacue discettazioni si dipanano in un clima quasi cechoviano fra un vorticoso viavai di impeccabili camerieri in frac.

Nel sereno scorrere dello spettacolo si avverte qua e là solo qualche puntura di spillo: il figlio del maggiordomo, che adora i giocattoli bellici, dedica un “Hitlergruß” alla platea, la guerra si affaccia attraverso proiezioni della devastazione bellica, la Contessa armeggia con un manifesto che inneggia alla liberazione di Parigi. Ma soprattutto, nel finale, la Contessa si scioglie nel celebre monologo, spogliandosi di un sontuoso abito settecentesco, quasi come un addio da quell’astratto mondo di bellezza, e, indossato gabardine e basco, si lancia nella follia del mondo seguita dalla pattuglia dei domestici. Un po’ irrisolta nelle intenzioni, l’operazione lascia più di un sospetto che si tratti, più che altro, di una mise à jour largamente di facciata. Va comunque riconosciuto alla regista un’apprezzabile leggerezza di tocco e un certo gusto per il dettaglio che rende godibile una vicenda non proprio travolgente per colpi di scena.

Il direttore Sebastian Weigle sembra prendere alla lettera la raccomandazione di La Roche – “E riguardo ai cantanti, mai l’orchestra troppo forte” – e assicura una guida musicale senza scossoni né sorprese ma che, con estrema cura cameristica, mette in valore le molte virtù degli strumentisti della Frankfurter Opern- und Museumsorchester. Di ottimo livello anche il cast vocale messo insieme a Francoforte, che ritrova in Camilla Nylund una contessa dal profilo nobile e dagli accenti malinconici resi più sinceri dal tempo. Alle focose intemperanze di Flamand e Olivier danno corpo e (belle) voci AJ Glueckert e Daniel Schmutzhard, mentre Gordon Bintner dà vita a un Conte giovane e di seducente galanteria e Tanja Ariane Baumgartner regala la sua classe di interprete a una Clarion tratteggiata nel segno dell’eleganza. Alfred Reiter è un tronfio La Roche che arde dal sacro fuoco del teatro non meno che di quello della passione per le giovani ballerine. Di pari valore anche tutti i ruoli minori, soprattutto la coppia dei cantanti italiani di Mario Chang e Sidney Mancassola in gramaglie.

Teatro gremito, caldi applausi.

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