Il Beethoven misurato e coinvolgente di Alessandro Taverna

Il pianista ha chiuso la stagione della Società dei Concerti di Parma dedicata all’integrale delle Sonate

Alessandro Taverna (Foto Angelica Colombini)
Alessandro Taverna (Foto Angelica Colombini)
Recensione
classica
Casa della Musica, Parma
Alessandro Taverna
28 Maggio 2018

Ultima tappa di una rassegna musicale che la Società dei Concerti di Parma ha voluto dedicare alla proposta integrale delle Sonatedi Beethoven, questa serata ospitata dalla Casa della Musica ha visto protagonista il pianismo misurato e coinvolgente di Alessandro Taverna, impegnato in un percorso interpretativo che ha unito idealmente due stagioni tra loro distanti della produzione sonatistica beethoveniana.

Il programma si è infatti aperto con due pagine estratte dalla prima raccolta di sonate pubblicata dal compositore di Bonn nel 1796, e precisamente con la Sonata in la maggiore op. 2 n. 2 e la Sonata in do maggiore op. 2 n. 3. Due composizioni che, poste una di fronte all’altra, hanno rivelato peculiarità e differenze che Taverna ha saputo tratteggiare con gusto palesemente consapevole, evidenziando nella prima sonata quel tratto elegante che riporta ad un classicismo di stampo haydniano per poi spingersi oltre, attraverso quella vivace allegrezza che viene esemplificata dai caratteri “Rondò” finale, plasmato attraverso un’inventiva amabilmente piacevole. Nella seconda sonata proposta, invece, il pianista ha offerto con efficace evidenza quella dimensione costruttiva più allargata che ci sposta in un più ampio afflato concertistico, testimoniato anche da quell’elemento virtuosistico più scoperto che innerva questa composizione.

Un carattere, quello virtuosistico appunto, che possiamo osservare anche nella Sonata in mi bemolle maggiore n. 4 op. 7, pubblicata l’anno successivo rispetto all’op. 2 quindi ancora generata nell’ambito degli anni giovanili della produzione del compositore, che rappresenta una sorta di prosecuzione della cifra creativa del maestro di Bonn sulla via di una forma più allargata e ampia e che Taverna è riuscito a restituire grazie a un gusto che ha confermato quell’equilibrio tra solida fluidità tecnica e tocco segnato da una misurata espressività, elemento che è via via emerso tra le cifre distintive di questo pianista. Un dato amplificato anche dall’intensa interpretazione offerta della conclusiva Sonata in la maggiore op. 101, dove il confronto con la fascinosa articolazione di questa pagina della maturità beethoveniana ha permesso a Taverna di restituirne una lettura assieme coinvolgente e armoniosa, capace di ribadire una qualità interpretativa ampiamente apprezzata dal pubblico presente, i cui applausi sono stati ripagati dall’atmosfera distesa generata da un Coralebachiano offerto quale brano fuori programma.

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