I due volti di Schubert

Mariotti al San Carlo di Napoli

Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
03 Aprile 2016
La sinfonia incompiuta di Schubert, n. 8 in Si minore D759 (1822), entra in punta di piedi nel teatro di San Carlo, con un misto di emozione e di riserbo, ma sopratutto sottovoce con un pianissimo soave all'attacco. Ieri pomeriggio, l'orchestra del teatro napoletano si è cimentata in un concerto monografico di musiche di Franz Schubert concludendo nel secondo tempo con la Messa in Mi bemolle maggiore D950 (1828) per voci soliste e coro, eseguita una sola volta in questo teatro nel 2006, sul podio Netopil. Forse per il direttore, Michele Mariotti, spalle larghe e grande talento - un po' amareggiato all'ultima battuta della Messa per l'applauso del pubblico in anticipo sull'ultima nota tenuta per essere spenta con magia - la sinfonia diventa il luogo dell'anima: memorie di un compositore e di una vita nella musica da comunicare al pubblico. Mariotti ne fa un enorme raccolta di suoni che dialogano tra loro su strutture e temi portanti. Prima di raccontare l'esecuzione e gli interpreti, due osservazioni sono obbligatorie: la prima è l'impegno che ogni orchestrale dovrebbe mantenere anche in un caldo pomeriggio domenicale di primavera, da un giorno all'altro diventano sonnacchiosi e poco attenti, troppe sezioni ieri andavano riviste. La seconda, ma connessa, va invece alla figura del direttore musicale, sempre più l'esigenza di uno stabile per il San Carlo, dove nonostante l'alternanza di ottime bacchette, non si riesce nella continuità di suono, timbro, identità, stile, insomma qualità. Intanto qualità ne ha sfoggiata Mariotti al suo ritorno alla guida di quest'orchestra. Ed è continuamente pieno di pianissimi e mezze voci nella Sinfonia, che il pubblico accoglie con un po' di freddezza all'intervallo, quando la genialità di Schubert è proprio costruita su questi volumi. Ricalcando l'espressività tematica, poi, chiede un impasto di andamenti dei due soli movimenti, con finale dell'Allegro e attacco dell'Andante su differenze impercettibili. In aggiunta Mariotti cura ogni intreccio tematico, senza sbavature, maniacale, con un registro visivo sicuro e pressante. E come se non bastasse, trasferisce tutta questa sapienza in una Messa - nel secondo tempo - che, seppur di grande struttura formale, nell'interpretazione ha insidie ovunque. È anche vocalmente di qualità, questo Schubert sacro. Perché il cast di cantanti è fortemente orientato sul tenore, due ottimi per la precisione Alessandro Luciano e Anicio Zorzi Giustiniani, ma anche il soprano Alessandra Marianelli, mezzosoprano Monica Bacelli e il basso Michele Pertusi, seppur impiegati limitatamente al Credo e Agnus Dei. Merce rara il Benedictus dei solisti. Il coro, invece protagonista, diretto da Marco Faelli, quando fa bene è di timbro e parola splendidi, in particolare la sezione femminile. Ha misura elegante, non sempre regolare nei registri ma energico e pungente nelle parti più ritmiche. Morale? Mariotti tiene tutto insieme bene, dai frequenti cambi di tempo e atmosfere ai più dilaganti passaggi imitativi (Osanna in excelsis), esemplifica Schubert con tanta lucidità. Il pubblico più che soddisfatto era accorso alla replica numeroso.

Interpreti: tenore Alessandro Luciano e Anicio Zorzi Giustiniani, soprano Alessandra Marianelli, mezzosoprano Monica Bacelli, basso Michele Pertusi

Orchestra: del teatro di San Carlo

Direttore: Michele Mariotti

Coro: del teatro di San Carlo

Maestro Coro: Marco Faelli

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