I densi contrasti del Requiem

Al Festival Verdi intensa lettura di Roberto Abbado dedicata alle vittime della pandemia

La Messa da Requiem al Parco Ducale di Parma
La Messa da Requiem al Parco Ducale di Parma
Recensione
classica
Parma, Parco Ducale
Verdi, Messa da Requiem
18 Settembre 2020 - 20 Settembre 2020

La serata del Festival Vedi di venerdì scorso è stata aperta dal breve intervento del sindaco di Parma Federico Pizzarotti che, a nome della città e della fondazione Teatro Regio, ha chiesto al numeroso pubblico presente un minuto di silenzio in memoria alle vittime della pandemia da Covid19, alle quali è stata appunto dedicata la successiva esecuzione della Messa da Requiem.

Un pensiero se vogliamo ineluttabile e doveroso, specie se maturato al cospetto di una partitura che propone in maniera così stringente l’eterna riflessione sulla morte, tra religiosa speranza e laica afflizione.

Un afflato che ha riportato alla nostra memoria le righe che chiudono uno scritto di Giulio Confalonieri, risalente ormai a più di cinquant’anni fa: «Figlio dei suoi tempi, erede di una cultura laica dove la cosiddetta libertà di pensiero parve, a un determinato momento, garanzia di onestà e rettitudine, travolto in giovinezza dalla repentina scomparsa della prima moglie e dei due figlioletti, inerme davanti al terribile còmpito di trovar spiegazioni all’esistenza del male, Giuseppe Verdi ricoprì la propria inquietudine con una dura riserva e si tenne lontano dalle pratiche della fede. Ma nel fondo più occulto dell’essere, durante gli incontri solitari con la perplessità interrogativa delle sue immagini, egli si ricongiunse all’universo cristiano del popolo d’onde nacque, all’universo di Dante, di Michelangiolo, del suo “santo” Manzoni».

Una visione, quella di Confalonieri, che appare oggi per molti aspetti anacronistica – e qui non si tratta naturalmente di indagare la religiosità di Verdi – ma che mette in luce quel contrasto che intride nel profondo il Requiem verdiano, un carattere che anche l’altra sera è emerso in maniera plastica dall’esecuzione ospitata sul palcoscenico del teatro all’aperto allestito al Parco Ducale di Parma.

Una lettura che Roberto Abbado ha restituito con intensa compattezza, mitigando gli inevitabili compromessi insiti nell’esecuzione “en plein air” attraverso una sapiente gestione dei piani sonori che innervano questa partitura e che hanno trovato felice rispondenza nella compagine strumentale della filarmonica Toscanini e nella solidità del coro del Regio preparato con la consueta cura da Martino Faggiani. Così l’incombente drammaticità del “Dies irae”, l’evocativa pregnanza del “Tuba mirum”, la disarmata intensità del “Larcymosa” hanno segnato alcuni tra i momenti più riusciti di un percorso di ascolto che diveniva riflessione interiore e condivisa.

Un affresco espressivo al quale hanno contribuito con bell’impegno i quattro solisti coinvolti, a partire da Eleonora Buratto (soprano) e Anita Rachvelishvili (mezzosoprano), entrambe al loro debutto al Festival Verdi ed entrambe capaci di tratteggiare con cura i rispettivi spazi solistici, protagoniste inoltre di un dialogo particolarmente ispirato in occasione del “Recordare”. Pregnanti anche i contributi delle voci maschili grazie alla consapevole sicurezza di Giorgio Berrugi (tenore) e alla fresca solidità di Roberto Tagliavini (basso).

Il silenzio che ha avvolto pubblico e artisti dopo l’ultima nota della pagina verdiana ha restituito il segno di un’esecuzione salutata alla fine da un applauso liberatorio, suggellando così la felice riuscita di una serata intensa (nonostante qualche ronzio di drone di troppo).

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