Guercœur, l’uomo che morì due volte

A Strasburgo l’Opéra national du Rhin riporta in scena “Guercœur” di Albéric Magnard, da qualche giorno visibile anche sulla piattaforma di Arte Concert

Guercoeur-(c)Klara Beck
Guercoeur-(c)Klara Beck
Recensione
classica
Strasbourg, Opéra national du Rhin (Opéra)
Guercœur Opera in tre atti libretto di Albéric Magnard
28 Aprile 2024 - 07 Maggio 2024

Figura curiosa quella di Albéric Magnard, compositore oggi pressoché dimenticato ma con ottimi studi musicali (fra i suoi docenti al Conservatorio di Parigi figurano Jules Massenet e Théodore Dubois, e privatamente con Vincent d'Indy) ma soprattutto uomo animato da convinti ideali, femminista e dreyfusardiano (appassionata la sua lettera a Zola dopo il celebre articolo in difesa dell’ufficiale ingiustamente accusato di tradimento). Morì in odore di eroismo a soli 49 anni nel settembre del 1914 per proteggere il castello di famiglia non lontano da Parigi dalle razzie dei soldati tedeschi, che, per rappresaglia, appiccarono il fuoco all’edificio dove Magnard era asserragliato provocandone così la morte e distruggendo gran parte dei manoscritti ancora inediti delle sue composizioni.

Ci vollero la pazienza e la dedizione dell’amico compositore Guy Ropartz per ricostruire la partitura di Guercœur, il lavoro più ambizioso del compositore, di cui fortunatamente si erano ritrovati intatti il manoscritto completo del secondo atto e la versione canto e piano, mentre primo e terzo atto erano stati divorati dalle fiamme. Nonostante l’impegno di Ropartz dedicato a far conoscere le composizioni dell’amico, di Magnard non si conserva quasi memoria così come di Guercœur, di cui lo stesso Ropartz, da direttore del Conservatorio di Strasburgo, diresse in concerto il terzo atto da lui ricostruito nel 1923. Per la prima versione scenica occorre aspettare il 1931 quando l’opera viene presentata per 11 rappresentazioni all’Opéra di Parigi, ma nemmeno questa esecuzione riscatta dall’oblio questo lavoro riscoperto e registrato nel 1986 da Michel Plasson con José van Dam protagonista. Poi più nulla fino al 2019 quando l’opera viene presentata al Theater di Osnabrück con la direzione di Andreas Hotz e l’allestimento di Dirk Schmeding (che si merita il titolo di miglior riscoperta della stagione dalla rivista Opernwelt e infine il “ritorno a casa” all’Opéra national du Rhin di Strasburgo, che ha proposto l’allestimento più recente affidato alle firme prestigiose di Ingo Metzmacher per la direzione d’orchestra e Christof Loy per la regia, visibile da qualche giorno anche nella piattaforma Arte Concert.

 

Di quest’opera in tre atti scritta dallo stesso Magnard, drammaturgicamente piuttosto sbilanciata (in particolare, il secondo atto è di durata considerevole e densissimo di avvenimenti), protagonista è Guercœur, l’idealista sovrano di una città-stato medievale, morto in battaglia per dare al suo popolo la libertà, il bene più prezioso. L’opera si apre con il protagonista, già morto, in uno strano paradiso governato dalle divinità laiche Verité, Bonté, Beauté e Souffrance. Nostalgico della propria vita e desideroso di compiere la sua opera di liberazione, malgrado il tentativo di dissuaderlo da parte di Verité, Guercœur ottiene di far ritorno sulla Terra scortato da Souffrance. Le cose però non stanno come le aveva lasciate: la vedova Giselle, che gli aveva promesso fedeltà eterna, è diventata la donna del suo miglior amico Heurtal, il quale, venendo meno agli ideali di Guercœur, progetta di diventare il nuovo “uomo forte” invocato dal popolo deluso dalla libertà per mettere fine a miseria e malcontento. Guercœur tenta di rinfocolare nel popolo gli ideali libertari ma ne provoca la rivolta e viene ucciso per la seconda volta. Tornato nel paradiso completamente disilluso dal genere umano, viene accolto da Verité, che gli rivela la sua idealistica profezia: “La fusione delle razze, delle lingue, darà [all’essere umano] il culto della pace. Con il lavoro vincerà la miseria; con la scienza, vincerà il dolore, e per salire a me in uno slancio supremo, riunirà Ragione e Fede. Ecco arrivare l’alba dei tempi nuovi, nei quali la fauna e la flora, docilmente sottomesse, libereranno voi esseri umani dalla fame; nei quali la vostra coscienza, inondata di luce, si svilupperà nelle sfere del bene; nei quali il vostro spirito trionfante, termine della materia, comprenderà senza sforzo le leggi dell’Universo.”

Anche per quest’opera il regista Christof Loy non rinuncia alla sua cifra più caratteristica fatta di rigore di segni e di gesti. La scena (di Johannes Leiacker) è nuda, popolata di semplici sedie e corpi, con una sola grande parete rotante, che è nera per il paradiso e bianca per la Terra con uno squarcio sul fianco, che mostra la natura vista da Claude Lorraine nel suo Paysage avec figure de danse del 1669, pittore che, secondo il regista, rappresenta bene il mondo utopico evocato nelle parole di Verité. I costumi di Ursula Renzenbrink sono di foggia contemporanea, appena più fantasiosi per le divinità laiche, tutte rigorosamente in nero da lutto.

Al rigore delle scelte di Loy, fa da contrasto l’opulenza del linguaggio musicale di Albéric Magnard, ben cosciente della lezione wagneriana compreso nella struttura leitmotivica, fatta risaltare nella sua seducente complessità dalla partecipata direzione di Ingo Metzmacher alla testa dell’Orchestre philharmonique de Strasbourg in gran spolvero. Grande prova anche del Coro dell’Opéra national du Rhin preparato da Hendrik Haas e molto partecipe del disegno scenico. Nel cast vocale, Stéphane Degout è il superbo protagonista, perfetto nell’incarnare la dolente umanità dell’eroe sconfitto, un’interpretazione magistrale sostenuta da una dizione scolpita e un fraseggio impeccabile. Al suo fianco, la vera coprotagonista è la Verité soprattutto grazie alla lunga scena del terzo atto con le sue accensioni visionarie, ben interpretata con partecipato slancio emotivo da Catherine Hunold, mentre fra le altre divinità, pur ben disegnate da Eugénie Joneau (Bonté) e Gabrielle Philiponet (Beauté), spicca soprattutto la Souffrance di Adriana Bignagni Lesca, cui la cantante dona l’oscurità minacciosa di un timbro vocale degno di Erda. Bene anche Antoinette Dennefeld, che è Giselle, e Julien Henric, Heurtal, ai quali però la penna di Magnard non va oltre la convenzione.

Grande curiosità a Strasburgo (e a Mulhouse, per le due recite in coda a quelle del capoluogo alsaziano) testimoniata dalla grande partecipazione di pubblico per questa rarità francese di primo Novecento e dall’accoglienza calorosa riservata a tutti gli interpreti. Archiviata questa produzione coprodotta con l’Opéra de Lille, l’Oper Frankfurt ne annuncia un nuovo allestimento nella prossima stagione. È finalmente il tempo di Magnard?

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