A Francoforte Manon Lescaut brilla con le stelle di oggi

Vasti consensi all’Oper Frankfurt per l’opera di Puccini con Asmik Grigorian protagonista e la direzione di Lorenzo Viotti 

Frankfurt am Main, Opernhaus - Manon Lescaut - foto di Barbara Aumüller
Foto di Barbara Aumüller
Recensione
classica
Frankfurt am Main, Opernhaus
Manon Lescaut
06 Ottobre 2019 - 23 Novembre 2019

Una Manon Lescaut di giovani divi quella allestita all’Oper Frankfurt come seconda nuova produzione della stagione. Innanzitutto, attesissimo era il debutto di Asmik Grigorian (che avevamo intervistato qui) nel ruolo dell’eroina pucciniana, fresca di rinnovato trionfo a Salisburgo nella ripresa della Salome allestita da Romeo Castellucci. Aspettative di certo non deluse, ma il soprano lituano ha sorpreso soprattutto per un’interpretazione risolta nel segno dell’intelligenza più che dello sfoggio vocale. Molto sollecitata sul piano fisico, su quello del canto la sua Manon risultava misurata e fin troppo introversa per gran parte dell’opera, fatta eccezione per l’infuocato scambio con Des Grieux del secondo atto, e liberava finalmente il forte temperamento drammatico nella straziante agonia del finale.

LEGGI: La seconda vita di Asmik Grigorian

Grande interesse c’era anche attorno alla presenza sul podio di un giovane direttore rapidamente salito all’attenzione internazionale come Lorenzo Viotti. La sua Manon sembrava prendere alla lettera le celebri parole di Puccini sulla sua versione rispetto all’altra Manon, quella francese precedente di pochi anni: «Massenet la sentirà da francese, con le ciprie e i minuetti. Io la sentirò all’italiana, con passione disperata». L’enfasi è talora eccessiva, e spesso a discapito delle voci in scena, i tempi fin troppo distesi ma il colorismo strumentale e il scintillante impianto sinfonico della partitura vengono fuori rigogliosi ed è un vero piacere all’ascolto. Va da sé che la qualità musicale della Frankfurter Opern- und Museumsorchester dava un contributo decisivo alla riuscita dell’esecuzione. 

Frankfurt am Main, Opernhaus - Manon Lescaut - foto di Barbara Aumüller
Foto di Barbara Aumüller

La qualità complessiva di questo Puccini non si esauriva comunque in questi due nomi. Una bella sorpresa era il Des Grieux di Joshua Guerrero, giovane tenore americano dalla voce bella e generosa, timbro brunito e squillo argentino, ma soprattutto un fraseggio elegante che restituisce il lato più nobile del personaggio. Meno sorprese riservava il resto del cast nel quale spiccavano soprattutto le riuscite prove di Iurii Samoilov, un Lescaut spaccone sfrontato, e soprattutto di Donato Di Stefano, un Geronte di classe antica. Buona la prestazione del Coro dell’Oper Frankfurt

 

Produzione “made in Fura dels Baus” diretta da Alex Ollé con Valentina Carrasco: bandite anche sulla scena le ciprie e i minuetti della Francia del XVIII secolo, si racconta invece il lato più ruvido e attuale del racconto di Prévost nello squallido milieu di chi cerca una vita migliore e finisce vittime di immondi prosseneti. Una parabola disperata sulla tratta delle bianche nell’Europa di oggi. Immancabile ormai il preambolo cinematografico, con le immagini del viaggio della speranza di Manon e fratello in cerca di fortuna nell’Occidente opulento. L’approdo è però nel night club di Geronte con la lap-dance delle prigioniere di voyeuristici onanismi, dopo l’effimera fuga d’amore con Des Grieux. La seconda fuga da Geronte non riesce e lei finisce nella gabbia di puttane e travestiti in attesa di espulsione. La sua fine precoce è addolcita dall’abbraccio di Des Grieux su una scena svuotata, all’ombra del monumentale LOVE scolpito, presente fin dal primo atto. L’amore ha molte facce. Le scene funzionali e mobili erano di Alfons Flores e i costumi del banale contemporaneo di Lluc Castell

Grande curiosità, sala gremita, ovazioni e numerose chiamate ai protagonisti della riuscita produzione. 

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