Ététrad, il mondo in Vallée

Tre giorni di musiche per il festival valdostano della famiglia Boniface

Etetrad 2021
Vincent e Sandro Boniface (foto Roger Berthod)
Recensione
world
Aosta e St. Nicolas
Ététrad 2021
19 Agosto 2021 - 21 Agosto 2021

A causa dell'emergenza Covid è purtroppo stata un’edizione ridotta, e forse un po’ sottotono (anche se non dal punto di vista dei contenuti), la 23esima di Ététrad, valorosa ed avvincente rassegna di musiche del mondo in Valle d’Aosta. 

Quest’anno Ététrad si è concentrata in meno giorni e appuntamenti e inevitabilmente dedicata più alla proposizione di musiche d’ascolto che da ballo (da sempre ingrediente fondamentale della manifestazione), se non nel caso del discreto ed elegante concerto pomeridiano, nell’assolata piazzetta di Saint Nicolas, del “classico” duo organetto/violino, composto da Silvio Peron e Gabriele Ferrero, esponenti per eccellenza di un’intima e ballabile musica occitana.

Ma al di là delle cogenti restrizioni, di più o meno validi e condivisibili protocolli di controllo della diffusione del contagio, l’importante era ripartire, come sottolinea il direttore artistico ed energico polistrumentista Vincent Boniface, compiere un primo significativo passo per riavvicinare (o riabituare) il pubblico – in prospettiva tutto il pubblico, senza nessuna preordinata esclusione di sorta – alla musica dal vivo, al suo fondamentale valore terapeutico (come ha ben detto dal palco lo stesso Alessio Lega, cantautore anarchico ed “avanguardista”, oggi impegnato nel nuovo progetto di Riccardo Tesi ad intonare la propria “diseducata” voce, da perfetto leccese, anche sulle scatenate ritmiche ternarie della saltimbanca e taumaturgica pizzica salentina), alla sua imprescindibile, potremmo dire antropologica, funzione sociale.

E come farlo al meglio, se non attraverso l’ennesimo stimolante tuffo nell’universo sonoro delle tante musiche popolari del mondo, che con la loro speciale (o meglio funzionale, se non catartica) attenzione alla molteplicità degli essenziali temi del vivere quotidiano – il lavoro, l’amore, la vita, la morte, la faticosa e rinfrancante complessità delle relazioni umane – colorano di sé, anche se spesso fin troppo sotto traccia, ogni più piccolo angolo del nostro sempre più fragile “pianeta azzurro”?

Il festival è espressione dello sforzo organizzativo dell’Associazione Culturale Ététrad, presieduta da Paolo Dall’Ara (tra le molte cose, cornamusista degli storici piemontesi Tre Martelli, i più longevi nel panorama del folk italiano, anch’essi nobili protagonisti dell’edizione di quest’anno, ad aprire la serata del 20, prima delle pirotecniche e scatenate evoluzioni folk punk rock dell’incontenibile Susana Seivane, iperbolica virtuosa della gaita galiziana), e dell’impegno e delle intuizioni dei Troveur Valdotèn, vero e proprio unico “incorreggibile” quartetto di conviviali musicanti o meglio di infaticabili musicisti, che da oltre quarant’anni svolgono sul territorio valdostano un intenso meritorio lavoro di ricerca e recupero del vasto e profondo repertorio linguistico/musicale francoprovenzale di appartenenza. 

Susana Seivane (foto Roger Berthod)
Susana Seivane (foto Roger Berthod)

La manifestazione prende da sempre le mosse dalle musiche tradizionali dell’alpino midì romanzo, veicolate più che interferite dagli alti ed ampi passi di montagna (vere e proprie porte d’accesso e comunicazione, invece che insormontabili barriere), e più in generale occitane, in un trobadorico e “danzereccio” tripudio di ghironde, organetti diatonici, violini e strumenti a fiato, imitativi delle voci umane e dei suoni della natura, per poi aprirsi al confronto con tutte le possibili tradizioni musicali altre, con l’obiettivo di rinsaldare memorie, pratiche, conoscenze, alleanze, e soprattutto di reinventare - lontano da falsi e stucchevoli esotismi o folklorismi di sorta - le tante musiche di tradizione, attraverso una continua e ineludibile trasformazione, che sappia guardare al futuro con una sempre maggiore consapevolezza di sé e del mondo.

Quando parliamo dei Troveur Valdotèn ci riferiamo ovviamente all’illuminata famiglia Boniface, originaria del piccolo villaggio di Aymaville, composta dalla coinvolgente umanità e bonomia di Sandro Boniface, nell’occasione instancabile mattatore della mostra dedicata alla famiglia degli strumenti a corda sfregata, “La Corda Froutéye”, allestita nel Musée Cerlogne, in collaborazione con il Centro Studi Francoprovenzali René Willien, dalla vocalist e ricercatrice Liliana Bertolo, e poi dai figli, abili polistrumentisti, Remy e Vincent.

Ad animare questa loro concentrata, e forse per questo motivo ancora più equilibrata, ultima edizione di Ététrad, articolatasi in soli tre giorni in due prestigiose location (secondo le dinamiche di una proficua ed attualissima dialettica tra ambiente urbano e più raccolta e contemplativa dimensione montana) - per gli eventi serali il Teatro Romano d’Aosta e per quelli pomeridiani la pievetta del piccolo suggestivo villaggio di Saint Nicolas (patria dell’abate Jean-Baptiste Cerlogne, 1826-1910, poeta, linguista e presbitero, storico codificatore del patois, grazie a lui diventato una vera e propria lingua, e non più rimasto semplicemente un dialetto), placidamente adagiato sulla panoramica spettacolare via celtica degli antichi Salassi, posizionata sul versante opposto alle tre meravigliose Valli del Parco Naturale del Gran Paradiso - è stata come al solito una nutrita e valorosa schiera di musicisti e soprattutto di variegate formazioni. Ma anche, e forse soprattutto, un singolare e aperto (nel senso quasi di situazionista) commovente sentito omaggio, nella mattinata di sabato 21 agosto, ad un amico recentemente scomparso (che a causa del Covid non si era potuto salutare come si deve), ovverosia Jean Marc Jacquier, storico e carismatico ricercatore dell’Alta Savoia (in special modo delle tecniche e del repertorio violinistico alpino), appassionato promotore dell’impegnativo concetto di popolo delle alpi, coraggioso fondatore, con il presente Christian Abriel, del gruppo savoiardo di folk revival La Kinkerne (oltre che dell’ambiziosa Grande Orchestra delle Alpi), formazione che ha saputo condividere con i Troveur Valdotèn un vero e proprio fruttuoso percorso di vita, artistico e musicale/culturale, intessuto di tanta amicizia e fratellanza, continue reciproche influenze, e più in generale di una comune euristica visione.

Ma sono ovviamente stati alcuni preziosi concerti a rendere davvero speciale quest’ultima “rimpicciolita” edizione di Ététrad, a cominciare dalla superlativa esibizione (nella serata di giovedì 19 agosto) - per profondità, comunicativa, ispirazione, afflato, controllo assoluto del suono e degli strumenti, e una sublime intesa artistica al limite del possibile e dell’immaginabile - dell’affiatato duo Stefano Valla/Daniele Scurati, impareggiabili diretti eredi della cosiddetta tradizione musicale appenninica delle quattro province (Pavia, Alessandria, Genova, Piacenza), con tutto il suo straordinario repertorio di musiche, danze e ballate per piffero (o oboe) - di cui Valla, originario della Valle Staffora, nell’oltre Pò pavese, pur se nato a Genova, è indiscusso insuperabile maestro - e fisarmonica, che Daniele Scurati suona con uno spirito, una precisione ed una progressiva intricata dimestichezza orchestrale, semplicemente ultraterreni (del duo si ascolti solo che il recente, innovativo e oltremodo sorprendente Bellanöva, realizzato in collaborazione con il violoncellista Nicola Segatta e il violinista e compositore/arrangiatore Marcello Fera).

Nella medesima serata è seguita poi la nuova configurazione del super gruppo di Riccardo Tesi (ancora una volta sonicamente al suo meglio, sempre più signore di un paradigmatico magnetico ed essenziale suono sull’organetto diatonico) Bella Ciao, con le voci meravigliose di Elena Ledda e Lucilla Galeazzi, il già citato Alessio Lega, il cristallino Maurizio Geri a voce e chitarra, il “liscio” Claudio Carboni ai fiati, il pirotecnico Nando Citarella a voce e percussioni, e le morbide flautate poliritmie di Gigi Biolcati al set batteristico, impegnati nella presentazione del loro nuovo composito e convincente spettacolo A sud di Bella Ciao.

A Sud di Bella Ciao (foto Roger Berthod)
A Sud di Bella Ciao (foto Roger Berthod)

Un coinvolgente concerto spettacolo, che sulla scorta della storica rappresentazione teatrale di Dario Fo e Franca Rame Ci ragiono e canto, amplia, come aveva già fatto allora lo stesso Fo, il discorso resistenziale e popolare riproposto in Bella Ciao - rivisitazione del celeberrimo spettacolo dell’indimenticato Roberto Leydi, che nel 1964, al Festival dei due Mondi di Spoleto, aveva letteralmente inaugurato, proprio come uno squarciante fulmine a ciel sereno catapultatosi improvvisamente sull’ovattato ed accademico ambiente borghese di quella storica manifestazione, la fertile, se non straordinaria, stagione del più autentico e verace folk revival italiano - mettendolo in relazione con il vasto, sfaccettato, ritmicamente intenso, screziato, repertorio musicale del nostro mezzogiorno.

E però è nella chiesetta di Saint Nicolas, dove il giorno prima l’etnomusicologo Rinaldo Doro, con il suo contagiante entusiasmo di appassionato ricercatore, sulla scia dei grandi esempi di storici studiosi come Leone Sinigaglia e Costantino Nigra, aveva inaugurato l’intera rassegna, alla guida della sua Banda Solìa, direttamente proveniente dal versante al sole della verde Valle Cervo nell’immediato biellese (ma non solo), che, nel pomeriggio di venerdì 20 agosto, si è svolto forse il concerto musicalmente più interessante della tre giorni valdostana, ad opera di un sontuoso quartetto francese di neotrad di stanza a Grenoble, nella regione del Delfinato, capitanato dai virtuosi fratelli Sacchettini, accompagnati dalle rispettive talentuose consorti.

Stiamo parlando del Frères de Sac 4tet, composto da Marie Mazille (nyckelharpa, clarinetto basso, clarinetto, voce), Marie Mercier (clarinetto in Sib, clarinetto basso), Christophe Sacchettini (flauti, cornamusa della Francia centrale, cromorne), e Jean-Loup Sacchettini (organetto diatonico, composizioni), che a Saint Nicolas ha saputo sciorinare una sperimentale musica cameristica d’eccezione, letteralmente incantevole, ipnotizzante, strutturalmente complessa, dagli intricati arrangiamenti, i forbiti passaggi armonici, e pur tuttavia accessibile, del tutto originale, contemporanea, espressione di una nuova trasfigurata classicità, pur se affondante nelle secolari cadenze della formulaicità popolare, e nelle più o meno ataviche forme della danza, magari filtrate dalle svariate edulcorazioni di corte, imbevuta di suoni magici ed evocativi, come la vichinga e “polivocale” nyckelharpa, le figurative evoluzioni dei diversi flauti dolci in azione, e l’accattivante morbidezza sorniona di vellutati luminosi clarinetti.

Una manifestazione, Ététrad 2021, che, prima dell’intima e poi esplosiva innervante chiusura finale dei padroni di casa de L’Orage - creatura musicale ormai blasonata, tutta valdostana, fondata dal cantautore Alberto Visconti e Remy Boniface, con Vincent Boniface sempre nel ruolo di vero e proprio imprevedibile mattatore, situata al perfetto crocevia tra musica di tradizione, rock e canzone d’autore, ormai giunta al suo quinto album in studio Medioevo digitale - si è meritoriamente svolta, nella conclusiva serata di sabato 21, nel segno dell’ideale (utopico?) abbraccio tra i popoli, con la piacevole ed equilibrata esibizione world dell’orchestra Terra Madre, armonico ensemble multietnico, rappresentativo di alcune delle più disparate parti del mondo, appositamente voluto da niente meno che Carlin Petrini di Slow Food e diretto dal bravo Simone Campa, fondatore a Torino, più di vent’anni orsono, della Compagnia Artistica La Paranza del Geco; e poi soffermatasi con meritevole attenzione, sì da almeno continuare a segnalare le contemporanee criticità del nostro burrascoso e disorientante presente, sui problemi del Mediterraneo, le sue sciagure e traversie, vero e proprio “mare di mezzo” (come recita il titolo di un’apprezzata recente song de L’Orage), ondivago testimone muto della tragedia dei migranti in arrivo - quando va di lusso - in Italia e in Europa da alcune delle più disagiate, se non disperanti, parti dell’Africa e del pianeta.

A dar loro voce, nell’ambito dell’ambizioso e creativo progetto ArtatSea (nell’occasione al primo “episodio” pilota), specificamente rivolto all’integrazione, e auspicabilmente poggiante su una sempre nuova programmatica e simbolica collaborazione tra un artista migrante ed un artista italiano, con una barca a vela itinerante - ASPRA - a fungere da vero e proprio palcoscenico di arte migrante, sono stati il sempre più carismatico Alberto Visconti, che si è prestato con entusiasmo a dare il via a questa valorosa ed inclusiva iniziativa, e il Coro Moro, fondato poco più di un lustro fa nelle Valli di Lanzo, grazie alla nobile iniziativa di alcuni coraggiosi abitanti.

Un ensemble corale, quello del Coro Moro, formato da richiedenti asilo ospitati a Ceres e Pessinetto, provenienti da Costa d'Avorio, Gambia, Nigeria, Mali e Senegal che, insieme a Luca BaraldoLaura Castelli, due cittadini appassionati di musica e di buone maniere, cantano in dialetto piemontese o in franco provenzale, ma anche in lingua mandinga o mandika (quella parlata dalle popolazioni dell’Africa Occidentale), canzoni di montagna, come “La montanara” o “La bergera”, e più in generale della tradizione popolare piemontese, oltre che veri e propri originals, esplicativi delle peripezie e delle drammatiche avventurose esperienze vissute.

Ed è proprio con alcuni rappresentanti di questo emblematico coro alpino afropiemontese, che Visconti ha inciso, e poi ad Aosta validamente interpretato, il suo dinamico e ritmato “Welcome Refugees”, brano che ha saputo vincere la settima edizione di Sanrito, l’ormai rinomato piccolo controfestival della canzone italiana, in opposizione al più noto festival sanremese, organizzato nel cuneese, da appunto sette stagioni, negli stessi giorni finali del ben più celebrato appuntamento rivierasco.

Ancora una volta buona l’ultima, restando in fiduciosa attesa di una prossima edizione, che possa essere nuovamente nelle condizioni d’allinearsi con le più nutrite ed aggreganti formule precedenti.

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