Due eroi del rumore a Jazz Is Dead!
Thurston Moore e Evan Parker si incontrano a Jazz Is Dead!, e chiudono un'edizione da ricordare
Che cosa sono i festival, ci si chiede spesso: l’altro giorno, Alberto Campo su queste pagine compilava la sua lista per l’estate proponendo la definizione di «eventi concentrati in un lasso di tempo limitato, ma soprattutto capaci di creare comunità intorno al contenuto musicale». Mi sembra una buona definizione, da Treccani, per come tiene insieme un dato oggettivo (il lasso di tempo limitato) con uno squisitamente mentale, ideologico: la capacità di «creare comunità», qualunque cosa voglia dire.
E veniamo dunque a Jazz Is Dead!, che alla sua terza edizione festival, nel senso nobile, lo è stato davvero. Tre giorni in una location unica (“splendida cornice” verrebbe da dire…) e pure un po’ inquietante come l’ex Cimitero di San Pietro in Vincoli di Torino, con quei teschi che ammoniscono ("memento mori") dalla facciata della chiesetta verso l’ampio chiostro. Già, il chiostro: è il punto forte di Jazz Is Dead!. Chi vuole ascoltare, entra dentro. Chi vuole bere birrette, chiacchierare e aspettare il prossimo concerto rimane fuori (e se piove, c’è sempre il porticato). E per tornare ai teschi: beh, quale corredo migliore per un festival intitolato alla morte del jazz, e che nel logo sfoggia un corvo in stile Edgar Allan Poe?
Dunque, la location è perfetta – per quanto se si continuerà ad alzare l’asticella della programmazione, ARCI Torino (che organizza) sarà costretta a fare qualche riflessione, vista la capienza limitata della chiesa. Il festival ha un suo concept molto chiaro e a suo modo provocatorio che per di più, come ha detto il direttore artistico Alessandro Gambo presentando uno dei concerti, ha l’indubbio vantaggio di poter lasciare mano libera nella programmazione pur perseguendo un’idea molto chiara.
Spazio dunque a tutto quell’universo di post-qualcosa, dall’elettronica all’improvvisazione radicale al minimalismo. Ed è interessante come, nel contenitore Jazz Is Dead!, molte musiche cambino ragione d’essere: The Necks – in effetti – suonano molto poco “jazz”, eppure siamo sempre stati abituati a sentirli con quell’orecchio. E lo stesso vale per l’improvvisazione radicale, che in questo contesto ha attirato un pubblico che difficilmente ne segue le alterne sorti, ma che a Torino si è presentato numeroso anche per una certa patina hip del tutto – e bene che sia così, naturalmente.
Per venire alla musica suonata, Jazz Is Dead! 2019 ha regalato due concerti di quelli che il pubblico torinese (la «comunità» di cui sopra) si ricorderà per gli anni a venire; di quei concerti che mettono un punto, e che fungono da pietra di paragone per la musica che si ascolta di lì in poi.
Il primo è quello dei The Necks, sontuosi come sempre: l’arte del crescendo in un arco di tensione – irrisolta – di poco meno di 60 minuti, con i cicli dettati dal contrabbasso che poco a poco avvincono il pubblico, costringono a muoversi, a ballare quasi, come in transe. E, tra l’altro, se l’acustica un po’ rimbombante della chiesetta è un problema per molta musica, non lo è per quella dei The Necks, che anzi ne beneficia: a un certo punto, è la chiesa stessa a “suonare”, con i suoi riverberi, le sue frequenze. Si esce senza aver chiaro quello che è successo.
The Necks, una guida all'ascolto in 10 dischi
Il secondo è quello di Thurston Moore con il Jooklo Duo, che pure beneficia dell’acustica della chiesa scegliendo di partire a mille – chitarra, sax, batteria – per un’ora furiosa di noise stordente ad altissimo volume. Prima c’era stato il live di Evan Parker con la Setoladimaiale Unit diretta da Stefano Giust: riuscito, bene, soprattutto nella seconda parte. Nella prima mezz’ora si fa sostanzialmente un po’ di melina, pur di alta qualità. Sembra di veder giocare la Juventus di molte partite di questa stagione: pallino del gioco saldamente in mano, rete di passaggi sicuri, poche emozioni. Poi arriva CR7 che con due giocate risolve la serata – ed è Evan Parker, che con una sequenza solitaria di cinque minuti al soprano in respirazione circolare saluta tutti e incanala il concerto su binari più vivaci.
Evan Parker, una guida all'ascolto in 10 dischi
Tanto è bastato per cambiare il mood di tutti: ne risentono anche Thurston Moore e il Jooklo Duo, che partono esuberanti il giusto, che a un certo punto si portano pure sul palco Evan Parker per l’unico momento “riflessivo” (leggi: in cui non si maltrattano gli strumenti) del loro set. Due eroi del "rumore" (molto diversi. O forse no?) insieme sul palco. Memorabile.
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