The Necks, una guida all'ascolto in 10 dischi

In occasione del live italiano per Jazz Is Dead! a Torino, un bignami per scoprire The Necks e i progetti paralleli di Chris Abrahams & co.

The Necks (Holimage)
The Necks (Holimage)
Articolo
jazz

Più di trent’anni di vita oltre i generi e le definizioni, più di trent’anni di coraggiosa e totale dedizione alla musica intesa come utopica ricerca, sperimentazione in costante divenire, azzardo non calcolato, ostinata sublimazione: gli australiani The Necks – al secolo Chris Abrahams (pianoforte e tastiere), Lloyd Swanton (basso elettrico e contrabbasso) e Tony Buck (batteria e percussioni) – erano e restano un meraviglioso equivoco. Dentro al quale si sovrappongono e si confondono riflessi di molteplici e disparati mondi. Elettronica colta, minimalismo, ambient, kraut, improvvisazione radicale, avanguardie riccamente assortite: la formula cambia, si adatta, ma il risultato è sempre e comunque stupefacente.

Evan Parker, una guida all'ascolto in 10 dischi

Imperdibile quindi il passaggio italiano del trio, che sarà a Torino, venerdì 24 maggio, ospite del festival Jazz Is Dead!. Occasione propizia per un riepilogo in 10 dischi (cinque a nome The Necks, cinque riconducibili a dimensioni parallele) di un percorso unico.

Jazz Is Dead! vive, per la terza volta

The Necks
The Necks (Holimage)


1. The Necks, Sex (Spiral Scratch, 1989)

Impossibile non partire da Sex: il primo disco, il primo viaggio di The Necks. Nessuno nasce imparato, si dice, ma nei 56 minuti dell’unica traccia ci sono già tutte le premesse (o quasi) di quel che sarà: paesaggi eterei, divagazioni flemmatiche, arpeggi sospesi e pulsazioni ipnotiche. Una rivelazione.

2. The Catholics, The Catholics (Rufus, 1992)

Un'istituzione della scena australiana, l'ensemble ad assetto variabile The Catholics ha quasi tre decenni di storia alle spalle. A guidarli fin dall'omonimo esordio, lungo le rotte funky di un jazz urbano e smaliziato, è il basso di Lloyd Swanton. Da scoprire.

3. The Necks, Aquatic (Fish of Milk, 1994)

Balzo in avanti di cinque anni rispetto all'esordio del trio con Aquatic. Due i brani, stavolta: il primo sopra i 27 minuti, il secondo appena oltre i 25. Disco meno impressionista rispetto a Sex, meno luminoso, più esplicito e appuntito, intriso di suggestioni kraut. Il passaggio al lato oscuro.

4. The Necks, Hanging Gardens (ReR Megacorp, 1999)

Altri cinque anni per arrivare ad Hanging Gardens. Che ristabilisce la regola aurea della traccia unica (si sfora di qualche secondo l'ora) facendo a pezzi con compiaciuta brutalità il Miles Davis di In a Silent Way. Sinistramente fascinoso.

5. Ned Rothenberg, David Tronzo, Stomu Takeishi, Tony Buck, The Fell Clutch (Animul Records, 2007)

Un australiano a New York. Alla scoperta di quel che resta della scena Downtown dopo la grande fuga da Manhattan. Il jazz si aggira tra le sue stesse macerie sorridendo ai passanti.

6. Fennesz, David Daniell, Tony Buck, Knoxville (Thrill Jockey, 2010)

L'incontro tra Tony Buck e una delle eminenze grigie dell'elettronica europea, mediato da David Daniell, avviene sotto l'egida della Thrill Jockey. Palpiti e accenni, rintocchi e improvvisi crescendo in un altrove senza tempo. Emozionante.

7. The Necks, Open (ReR Megacorp, 2013)

Quasi settanta minuti di placido e ipnotico fluire, Open racconta del lato sciamanico del trio, di trance e di abbandono. Un rito di ascesi che si compie con esasperata lentezza. Vietato resistere.

8. Chris Abrahams, Alessandro Bosetti, A Heart That Responds from Schooling (Unsounds, 2015)

Tra le collaborazioni più stimolanti e imprevedibili della lunga carriera parallela di Abrahams (recuperate senza indugio anche i dischi con Mike Cooper, lasciati fuori solo perché la vita è fatta di scelte). Visioni distanti, sensibilità diverse, lo stesso bruciante bisogno di spingersi oltre. Con la benedizione di Milton Nascimento.

9. Chris Abrahams, Climb (Vegetable Records, 2016)

Chris Abrahams al pianoforte. In perfetta e luccicante solitudine. Non serve davvero aggiungere altro.

10. The Necks, Unfold (Ideologic Organ, 2017)

Doppio vinile, quattro tracce. Magniloquente, esagerato, stordente, enciclopedico: Unfold è il disco definitivo dei The Necks. Il disco dal quale partire, il disco al quale arrivare. Di una densità a tratti insostenibile, di una bellezza straripante.

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

jazz

Per il ciclo di articoli #Womentothefore #IWD2024, la sassofonista e compositrice inglese Asha Parkinson

jazz

Per il ciclo di articoli #Womentothefore #IWD2024, scopriamo la cantante e compositrice tedesca Miriam Ast

jazz

Per il ciclo #Womentothefore, un ritratto della giovane tubista in ascesa sulla scena francese