Diverse facce del duo ad Angelica

A Bologna l’improvvisazione assoluta dei duo Michele Rabbia - Ingar Zach e Marco Colonna - Danilo Gallo

Michele Rabbia + Ingar Zach  / Marco Colonna + Danilo Gallo  - Angelica - Foto di Daniele Franchi
Michele Rabbia e Ingar Zach (foto di Daniele Franchi)
Recensione
jazz
Bologna, Angelica Centro di Ricerca Musicale
Michele Rabbia + Ingar Zach / Marco Colonna + Danilo Gallo
16 Gennaio 2019 - 22 Gennaio 2019

All’inizio della sua stagione, che va da gennaio ad aprile prima di approdare al centrale Momento maggio, l’infaticabile programmazione di Angelica a Bologna ha proposto due appuntamenti di notevole interesse: due sodalizi collaudati e prevalentemente italiani, che sondano diverse modalità della musica improvvisata del duo.

Il primo incontro fra Michele Rabbia e il norvegese Ingar Zach avvenne circa due anni fa ad Area Sismica, a Meldola. Da allora il loro dialogo si è sviluppato nella direzione di un’improvvisazione istantanea che persegue una stretta simbiosi gestuale e musicale. A Bologna i due percussionisti, in posizione eretta, suonavano affiancati di fronte a un essenziale set batteristico: tre tamburi e due piatti anomali. Ma la serie di oggetti e strumentini messi in gioco dai due è stata molto ampia: catene, metronomi, coppe metalliche risonanti, cimbali metallici di varie dimensioni sfregati violentemente sulle pelli o perfino soffiati dal buco centrale… A tutto ciò si aggiungeva l’immancabile supporto elettronico. 

Dalla sintonia intenzionale e gestuale dei due comprimari è scaturita la simbiosi, la compenetrazione dei suoni: quelli acustici, concreti, rumoristici, crepitanti o fruscianti, e quelli elettronici. Se fra le due fonti sonore si è verificata una sorta di mimetismo, d’inscindibile trama, le rare situazioni più melodiche e armoniche, con effetti evanescenti e sognanti, sono state però a carico dei flussi elettronici; prima del finale si è assistito inoltre a un crescendo ossessivo, che ha dato vita a un’ipnosi pulsante e un po’ inquietante. Si è quindi svolto un processo creativo concatenato, con una sua parabola, basato su un respiro intrinseco, sulla ricchezza delle dinamiche e dei timbri. Se l’intreccio dei suoni può prendere un suo significato specifico, allora è plausibile la definizione “semiosi” scelta nel programma di sala per questo duo.

Ugualmente consolidata è la collaborazione fra Marco Colonna e Danilo Gallo, che ha preso le mosse in un club romano nell’estate 2017. Anche la loro ricerca è totalmente improvvisata, ma condotta su diverse direttrici espressive, soprattutto per via dei differenti strumenti imbracciati. Nel concerto bolognese appunto la loro pronuncia strumentale è diventata il fattore qualificante, risultando personale, intenso e classicamente “bello” il sound di entrambi. 

Limpido e acuminato nel registro alto, il clarinetto basso di Colonna si è inerpicato in scorribande free, si è abbandonato a eloqui evocativi e lirici, si è inabissato in grufolanti elucubrazioni nel registro basso. La risonante chitarra basso di Gallo, a tratti coadiuvata marginalmente da piccole percussioni, ora si è colorata di blues feeling con inflessioni parlanti, ora si è spinta in insistenze di forsennata massa sonora, senza disdegnare di accennare a cadenze di walking bass .

La loro tecnica prodigiosa è stata messa al servizio di un visionario incrocio di culture, in cui la componente jazzistica ha tenuto un ruolo determinante ma non esclusivo, dando adito ad un partecipato colloquio, di grande impatto ritmico e melodico e anche di una concentrata sintesi espressiva. In questo susseguirsi continuo di idee e di stimoli reciproci, in questo flusso narrativo di suggestioni coinvolgenti, si è talvolta rimpianto che certe situazioni non fossero più prolungate e indagate più a fondo.

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