Una preghiera per James Reese Europe

La produzione originale del TJF, diretta da Jason Moran, omaggia uno dei padri del jazz

Foto Torino Jazz Festival
Foto Torino Jazz Festival
Recensione
jazz
Torino, Auditorium Giovanni Agnelli
Jason Moran Bandwagon & TJF All Stars - Il big bang del jazz. L’eroica storia di James Reese Europe
30 Maggio 2025

Basta la parola? Si sa che “jazz” (qualunque cosa significhi e qualunque significato si voglia dare) è diventata intestazione per festival vari in varie parti d’Italia, in grado di intercettare fondi e attirare nuovo pubblico in cerca di intrattenimento “culturale” (qualunque cosa significhi e qualunque significato si voglia dare). 

Dentro questo calderone di esperienze che si vorrebbero qualificanti e distintive per ascoltatori e ascoltatrici trova spazio un po’ di tutto, anche troppo. Non si tratta di fare discorsi sulla presunta “purezza” del jazz, o di lamentare le aperture al pop, o la perdita di identità di molte rassegne storiche, ma piuttosto di rilevare che la parola “jazz” serve, oggi, soprattutto per legittimare culturalmente vari tipi di musica, spesso a prescindere dalla musica stessa.

Fa dunque piacere rilevare il meccanismo virtuoso messo in moto dal Torino Jazz Festival, soprattutto negli anni post-Covid, prima con la direzione artistica di Giorgio Li Calzi e poi con il ritorno di Stefano Zenni. A fronte di una identità evidentemente “jazz” (qualunque cosa voglia dire), il TJF è stato in grado di costruire, fidelizzare e consolidare il proprio pubblico, e – complici i biglietti a prezzi popolari – a riempire sulla fiducia anche venues sulla carta particolarmente ostiche, e senza ricorrere ai famigerati “nomi di cartello” (che pure, come è ovvio, ci sono stati).

È stato particolarmente evidente nell’edizione 2025, che difettava di un chiaro headliner (con l’eccezione dell’enfant du pays Enrico Rava). Sarebbe ad esempio lecito chiedersi quanti dei 1700 dell’Auditorium del Lingotto conoscessero prima dello scorso 30 aprile Jason Moran – ok, un pianista di primo livello del circuito, ma non certo un mostro sacro (non ancora, almeno) né uno in grado di tenere su da solo un programma con ambizioni generaliste come quello del TJF – e soprattutto James Reese Europe, oggetto del sentito omaggio del pianista di Houston insieme ai fedelissimi Tarus Mateen al basso elettrico e Nasheet Waits alla batteria, e a una all star messa insieme per l’occasione, con alcuni dei più brillanti solisti della scena nazionale (Giovanni Falzone alla tromba,Tony Cattano e Mauro Ottolini al trombone, Nico Gori al clarinetto, Achille Succi al sax alto, Pasquale Innarella al tenore, Glauco Benedetti alla tuba).

James Reese Europe – che è stato anche il tema di una appassionata lezione del musicologo Francesco Martinelli, in collaborazione con il DAMS di Torino – è stato figura unica e originalissima nelle vicende che hanno portato alla definizione del jazz, più di un secolo fa. Nato in Alabama nel 1880, Europe si trasferisce dapprima a Washington DC, che all’epoca vantava la maggiore popolazione nera degli Stati Uniti. Qui studia violino con Joseph Douglass (nipote del leader abolizionista Frederick Douglass) e prende lezioni da Enrico Hurlei, assistente di John Phillip Sousa alla Marine Corps Band, ovvero il cuore pulsante della musica bandistica americana. Giunto a New York intorno al 1903, dapprima dirige un’orchestra a plettro sul modello delle estudiantine europee, e arriva poi a esibirsi con frequenza sulle scene della nuova rivista africano americana. Nel 1910 fonda il Clef Club, locale con annessa orchestra (che arriva a suonare alla Carnegie Hall) ma anche pionieristico tentativo associazionistico per musicisti neri. A capo di varie compagini, come la Exclusive Society Orchestra, Europe consolida la sua fama divenendo accompagnatore fisso della coppia di ballerini star Vernon e Irene Castle, bianchi, e divenendo dunque un campione dell’integrazione razziale.

Basterebbe questa vita per fare di James Reese Europe una pietra miliare nella storia della musica americana. Nel 1916, però, comincia un’altra storia: Europe si arruola nell’esercito, mette insieme una banda con musicisti neri e portoricani e – nonostante la grande tensione razziale che attraversa l’esercito, che gli impedisce addirittura di prendere parte alla parata delle truppe in partenza per l’Europa – arriva al fronte, in Francia. 

Qui è impegnato in combattimento, dove conduce le truppe all’attacco con il grado di tenente. Dopo 191 giorni di servizio attivo e ininterrotto, il reggimento/orchestra viene spostato nelle retrovie e impiegato per “familiarizzare” con la popolazione francese, divenendo un fondamentale veicolo di diffusione delle nuove musiche africano americane in Europa. Il ritorno a casa, celebrato – infine – con una trionfale parata fino ad Harlem restituisce un’orchestra e un mito potente: con il nome di Harlem Hellfighters Europe e i suoi incideranno dischi e andranno in tournée, fino al 1919, quando il leader sarà accoltellato dal suo batterista in una banale lite.

Anticipatrice del jazz, celata nelle storie delle musiche nere da quella di altre figure e dal boom della prima discografia blues e jazz, la musica di Europe suona oggi incredibilmente piena di vita, esuberante, ricca di trovate, ipercinetica.

Moran aveva dedicato a James Reese Europe un album nel 2023, From the Dancehall to the Battlefield, da cui parte l’ossatura dello spettacolo. La qualità della musica – che comprende temi originali, rivisitazioni di classici (da “Memphis Blues” a “Hesitating Blues”) e licenze poetiche assortite – è superlativa, e quella dei solisti fa perdonare qualche rigidità nelle strutture, comprensibilissima in una produzione originale. Moran concede il proprio spazio a tutti, e negli assoli il seme piantato da James Reese Europe sembra veramente germogliare nell’albero del jazz, con tutti i suoi stili e i suoi colori, fino al free del lungo momento solistico di Pasquale Innarella.

L’unico appunto è che la regia di Moran sembra andare, in alcune sezioni, nella direzione di un omaggio troppo funebre. Soprattutto nella prima parte dominano le atmosfere intimiste, e la gioia vitale della musica del James Reese Europe compositore e bandleader, che emerge gloriosa dalle registrazioni d'epoca, rimane a volte nel cono d’ombra del James Reese Europe personaggio drammatico. Contribuiscono a questa impressione soprattutto i visual, che insistono sulle immagini di un Moran contrito in raccoglimento sulla lapide del musicista. La parte video rappresenta in effetti l’unica grande occasione sprecata: a parte un apparente fuori sincro che rende difficile comprendere il senso delle didascalie, il tutto decolla solo con l’apparire delle meravigliose immagini degli Harlem Hellfighters di ritorno dalla guerra, che nella coda aprono a un’emozione che pervade – finalmente – tutta la musica, nello splendido tema di Moran “For James”, cantato in coro dal pubblico. L’apparato iconografico di Europe è ricco, esiste persino un incredibile video della sua orchestra che si esibisce in un villaggio francese, con alcuni dei membri che ballano. Perché non sfruttare quello?

James Reese Europe
Foto Torino Jazz Festival

Ad ogni modo si torna a casa felici, con in tasca un pezzo riscoperto di storia della musica che è la storia di noi tutti, “dalla sala da ballo al campo di battaglia, e di nuovo a casa da te”, scrive Moran nel programma di sala. Non è poco, nei mesi in cui negli Stati Uniti si stanno rimuovendo le pagine web che ricordano il sacrificio nei neri nelle molte guerre americane. 

 

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