Con Barbara fra la luce e l’ombra

Barbara Hannigan dirige e canta in "Chiaroscuro", in streaming su Arte

Barbara Hannigan Arte
Recensione
classica
Ludwigsburger Schlossfestspiele - Arte
Barbara Hannigan "Chiaroscuro"
04 Luglio 2021

Ha indubbiamente molti talenti Barbara Hannigan: solidi studi musicali alle spalle fra il nativo Canada e l’Europa, folgorante carriera di cantante particolarmente versata nel repertorio contemporaneo e da qualche anno spesso sul podio come direttrice d’orchestra, talvolta combinando la direzione al canto. Ha anche un talento speciale per programmi da concerto spesso accattivanti e dai forti contrasti creati dall’accostamento di pezzi molto distanti per epoca e gusto.

È il caso del concerto “Chiaroscuro”, il contrasto è già nel titolo, che arriva al termine di una settimana di residenza della musicista canadese allo Schlossfestspiele di Ludwigsburg dove si esibiva per la prima volta e diffuso in streaming da Arte Italia. Una settimana aperta da una “Festa mobile”, una serata musicale in movimento in diverse location della cittadina del Württemberg animata dalla Hannigan con la complicità di alcuni dei giovani cantanti della sua iniziativa “Equilibrium”, dei danzatori della compagnia di Sasha Waltz & Guests e dell’Orchestra del Festival di Ludwigsburg. Il menu musicale comprendeva una eteroclita scelta di pezzi dal barocco di Monteverdi e Buxtehude, passando per il Novecento storico di Chausson e Respighi e le avanguardie storiche di Luigi Nono per approdare ai contemporanei Jonathan Dove, John Luther Adams e Matthew Barnson.

Anche “Chiaroscuro” non sfugge alla regola di Barbara, anche se qui si tratta di un concerto nella moderna sala del Forum am Park con l’Orchestra del Festival, che l’accompagna docile in questa sua nuova avventura.

Un programma allettante costruito appunto sul contrasto fra la luce della prima parte e l’oscurità della seconda. In “Bright Lights” la Hannigan, in blusa bianca, dirige “a mano libera” e movenze danzanti un programma che si apre con lo Stravinskij neoclassico del Pulcinella, “avventura amorosa” del compositore con Pergolesi e la grande tradizione musicale napoletana. Prestano le voci all’antologia di arie pergolesiane il soprano Aphrodite Patoulidou, il mezzosoprano Coline Dutilleul, il tenore Charles Sy e il basso Douglas Williams. Dalla luminosa musica di Napoli anche se filtrata dalle deformanti lenti novecentesche, al composto classicismo della Vienna del 1788 per il secondo dei pezzi in programma, la Sinfonia n. 90 in do maggiore di Joseph Haydn, un po’ estranea al programma, poteva contare su un passo spigliato soprattutto dell’ultimo movimento, ripetuto in modo inatteso e con piglio virtuosistico dall’orchestra senza la direttrice sul podio. Conclusione con un medley dal musical Girl Crazy con le musiche di George Gershwin e i testi di Ira Gershwin. Scelta curiosa per una musicista più di casa con György Ligeti e tutte le altre figure più significative della produzione contemporanea. E sembra proprio partire da quel mondo l’arrangiamento di Bill Elliott, che dalle disarticolate disarmonie delle prime battute accompagna con naturalezza alla scintillante orchestrazione di Gershwin. Barbara Hannigan volge le spalle all’orchestra per rivolgersi verso il pubblico e torna a essere cantante, certo nel suo modo mai esteriore e musicalmente introverso, per tre delle canzoni più note: “But not for me” e poi “Embraceable you”, con i musicisti che diventano coro, armonizzando con tono discreto il canto della Hannigan e accompagnandola su un delicato tappeto musicale, che si accende in un travolgente ritmo jazz in “I got rhythm” per il finale fra gli applausi della prima parte.

La seconda parte, “The Dark Side”, vede ancora la Hannigan, questa volta in blusa blu, su podio per le ombre inquietanti proiettate dal lancinante e irrisolto assolo della tromba sull’oscuro paesaggio evocato degli archi di “The Unanswered Question” di Charles Ives. Segue un’altra notte, quella trasfigurata dell’opus 4 del giovane Arnold Schönberg, Verklärte Nacht, il ui rigoglioso intrecciarsi delle frasi segnate da tardoromantici cromatismi è presentato con un serrato movimento ascendente verso una luce rasserenante che ha molto di teatrale. Con un altro scarto, la Hannigan sceglie di concludere il lungo programma con Lonely Child del canadese Claude Vivier, un lungo canto di solitudine in un paesaggio sonoro fisso, mutevole solo nel colore dei timbri e con il solo battere ricorrente del gong a rompere quella sospensione di tempo e spazio.

“Who could ask for anything more?” canta la Hannigan mentre fa entrare nel suo mondo di suoni. Chi potrebbe chiedere di più?

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