Celebrando Dante, e anche Roffredo Caetani

Al Festival Pontino un concerto del pianista Alfonso Alberti dedicato a musiche ispirate alla Divina Commedia, tra cui un rarissimo brano dell’ultimo dei Caetani

Alfonso Alberti (Foto Cesare Galanti)
Alfonso Alberti (Foto Cesare Galanti)
Recensione
classica
Festival Pontino al Giardino di Ninfa
Concerto di Alfonso Alberti
24 Luglio 2021

Anche il Festival Pontino ha celebrato il settimo centenario della morte di Dante, come si sta facendo quasi ovunque, ma  in questo caso insieme a Dante si è ricordato anche Roffredo Caetani, nel centocinquantesimo anniversario della nascita. L’accostamento tra il sommo poeta e un musicista quasi totalmente dimenticato poteva sembrare un po’ forzato, invece era il motivo di maggior interesse del concerto. Era qualcosa di più dell’adempimento di un obbligo morale verso l’ultimo Duca di Sermoneta, il cui castello  ospita la maggior parte dell’attività del festival, perché Roffredo Caetani  è un compositore interessante, sebbene fosse un dilettante nel senso antico e nobile del termine, perché per lui la musica era un diletto, non un lavoro. Ma aveva seguito studi serissimi: l’essere figlioccio di Liszt era stato indubbiamente un buon viatico, poi vennero gli studi a Roma con Giovanni Sgambati e poi a Berlino e Vienna, dove conobbe anche Brahms. Aveva diciotto anni quando fu eseguito il suo primo lavoro sinfonico e settantadue quando la sua unica opera fu rappresentata al Teatro dell’Opera di Roma, poi la sua attività di compositore rallentò fino a interrompersi alcuni anni prima della morte, che lo colse nel 1961, all’età di novant’anni.

In questa occasione è stato eseguito Il viaggio immaginario,  estratto da un suo ciclo di pezzi intitolato La Commedia di un musicista:  dunque c’è un aggancio diretto con Dante, cui Roffredo Caetani aveva evidentemente perdonato di aver messo all’Inferno il suo antenato Bonifacio VIII. Questo brano non è la trasposizione musicale di qualche episodio della Divina Commedia  bensì è un viaggio immaginario compiuto dal compositore in un suo proprio Inferno (o Paradiso: questo non è chiaro, ma propenderei per la prima ipotesi), in cui incontra gli spettri di tanti musicisti e di tanti stili musicali da lui incrociati nella sua vita. Il tutto con una buona dose di ironia e di autoironia, tipica di una certa nobiltà un po’ blasé,  che si sentiva non tanto al di sopra quanto al di fuori dal mondo. Nell’attacco di questo pezzo si poteva cogliere un riferimento ad Après un lecture du Dante  del suo padrino Liszt: è giusto che questo suo viaggio musicale inizi da lì, da quel Liszt molto moderno, da quelle dissonanze audaci, da quei colori cupi, su cui Caetani si sofferma, prima di passare brevemente ad uno stile post ottocentesco un po’ alla Rachmaninoff, ma non così gonfio e pletorico come quello del russo, per tornare poi indietro a Chopin, ma ancora più brevemente, così come per appena un attimo comparirà più avanti Debussy: quest’ultimi musicisti – sembrerebbe di capire – non hanno avuto grande spazio nel viaggio di Caetani nella musica. Man mano si insinuano tra questi ricordi e poi prendono spazi sempre più ampi alcuni passaggi fortemente dissonanti, che possono ricordare la fase espressionista di Schoenberg,  per poi spingersi fino alle soglie della tonalità e le oltrepassano pure. Ironicamente ritmi un po’ distorti di danza (un accenno allo Stravinskij neoclassico?) si insinuano tra questi  passaggi così aspri, che man mano conducono nei dintorni della dodecafonia (senza spartito alla mano non è possibile giurare che si tratti di dodecafonia rigorosa) con riferimento ancora a Schoenberg e perfino a Webern: forse si può cogliere un po’ di ironia in queste imitazioni di compositori, che un musicista non certo d’avanguardia come Caetani considerava probabilmente degli spauracchi. Ma alla fine si ritorna all’ovile lisztiano, con una specie di “quindi uscimmo a riveder le stelle”. In conclusione: un pezzo bizzarro, ironico o forse sardonico, intelligente, vario, che si ascolta con interesse e piacere e fa venire la curiosità di ascoltare qualcos’altro di Roffredo Caetani.

Ma il punto più alto del concerto era Après un lecture du Dante,  la Fantasia quasi Sonata  di Liszt, che giustamente veniva accostato al suo figlioccio Roffredo. Poi le Laudi alla Vergine Maria  su versi di Dante (Canto XXXIII  del  Paradiso) dai Quattro pezzi sacri  di Verdi, nella trascrizione per pianoforte di Alfonso Alberti dall’originale a quattro voci, e in conclusione Francesca da Rimini  di Čajkovskij, trascritta o piuttosto elaborata per pianoforte da Karl Klindworth, un allievo di Liszt. E come bis La canzone della folle in riva al mare,  singolare brano di Alkan, pianista-compositore celeberrimo nell’Ottocento, poi molto criticato e quasi sbeffeggiato, infine dimenticato: ma ora si notano sparsi segnali di un nuovo interesse per la sua musica.

Un programma raro, costruito con intelligenza, ma assolutamente non didascalico né intellettualistico, simpaticamente presentato con brevi e illuminanti introduzioni dall’interprete, Alfonso Alberti, che ha anche letto una rara poesia di Borges dedicata a Francesca da Rimini prima di eseguire il pezzo di Čajkovskij. Concertista ma anche autore di libri sulla musica e poeta, Alfonso Alberti è uno di quei rari pianisti che non si limitano ad esercitare le dita per ottenere smaglianti effetti virtuosistici e preziosismi sonori. Le dita le ha anche lui, eccome, tanto da eseguire senza il minimo problema uno dei brani lisztiani più difficili. Ma non vuole - ripeto - sedurre con virtuosismi e preziosismi fini a se stessi e punta invece a condurre l’ascoltatore all’interno della musica, facendone scoprire gli aspetti veramente importanti, fondamentali, con una speciale attenzione all’armonia, che in tutti e quattro brani in programma era particolarmente interessante. È stato giustamente applaudito con calore da un pubblico insolitamente numeroso, dato che si era all’aperto e ciò consentiva una buona capienza pur nel rispetto delle norme anti Covid.

Merita un applauso anche la scena del concerto, il Giardino di Ninfa, a suo tempo proprietà dei Caetani e ora gestito dalla Fondazione Caetani, da tutti considerato uno dei più belli – da alcuni anche il più bello – tra i giardini d’Italia.

 

 

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