Barocco è Hollywood

Recensione
classica
Teatro Comunale Bologna
Georg Friedrich Haendel
06 Aprile 2003
Spettacolo fra i più attesi della stagione bolognese, per la rarità del titolo (solo due opere händeliane sono state viste in città), per il ritorno di Rinaldo Alessandrini dopo la vertiginosa "Poppea" dello scorso anno, per il debutto al Comunale di Daniela Barcellona, non ultimo per la curiosità che ogni nuova regia di Luca Ronconi sa sempre destare. Ma cominciamo col rilevare un arbìtrio sin troppo frequente nei moderni allestimenti di opere settecentesche. Quei drammi per musica non sono - come ci viene fatto credere - una monotona e informe successione di recitativi e arie ad libitum: i brani risultano al contrario distribuiti fra i tre atti canonici con scrupoloso riguardo alla cangiante alternanza di affetti drammatici e musicali, culminante nei due finali d'atto intermedi col grande assolo o duetto dei personaggi principali; all'interno dei tre atti, poi, una successione di studiati cambi di scena segmenta la rappresentazione in sequenze drammatico-musicali in sé conchiuse, che scandiscono gli spostamenti dell'azione nel tempo e nello spazio. Ignorare con scene fisse tali cambi d'ambiente (come troppo spesso accade di vedere) alimenta anche visivamente quella monotonia che oggi lamentiamo nella successione senza tregua di arie formalmente uguali; ostinarsi poi a ridurre lo spettacolo a soli due atti (pratica altrettanto diffusa) costringe lo spettatore a un tour de force ancor più faticoso, ovvero alla soppressione d'un numero esorbitante di brani del secondo e terzo atto, divenuti insostenibili dopo l'accorpamento. E ogni progetto drammaturgico del testo originale viene così smantellato. Tanto è avvenuto anche in questo nuovo allestimento, con la forzata soppressione di un'ora circa di musica; e siccome in Händel vi sono ben pochi recitativi da scorciare, chi ne ha fatto le spese sono state tante magnifiche arie, ridotte alla sola esposizione della prima parte o cadute del tutto. In particolare ne ha sofferto il protagonista, cui Händel apparecchiò un campionario vocale della massima varietà. Se qualcosa è giocoforza tagliare, non tutte le arie sono però ugualmente eliminabili. Non si può, ad esempio, far uscire di scena Cesare "a bocca vuota" nel bel mezzo dell'eccitazione che lo prende al primo sguardo di Cleopatra, riducendo la sua fregola a un solo recitativo stereotipato: in una drammaturgia come quella dell'opera seria settecentesca, in cui non importa tanto ciò che si dice ma ciò che si canta, è di fatto indispensabile che il corteggiamento alla donna s'inveri in un'aria compiuta, che dia al gesto scenico il necessario sbocco musicale. Ciò premesso, va comunque detto a chiare lettere che ci troviamo di fronte a uno spettacolo di grande levatura artistica. La stella di Daniela Barcellona ha brillato come poche, perfetta nel canto - ora eroico, ora virtuosistico, ora patetico - e intensa nell'accento: il suo colore brunito, di vero contralto, basterebbe a soddisfare l'ascoltatore più esigente; la tecnica e il gusto fanno il resto. Di altissimo livello anche gli altri interpreti, e senza alcun dazio pagato a qualche petulante controtenore anglosassone. Intensissima Cornelia è Sara Mingardo, cui difetta solo certa chiarezza di dizione; semplicemente perfetta Monica Bacelli, che dipinge un Sesto adolescenziale. Maria Bayo riscuote grandi applausi come Cleopatra, forte d'un canto d'agilità cui una voce molto pungente reca però occasionali screziature in note acute eccessivamente spinte. Crudele e capriccioso il Tolomeo di Silvia Tro Santafé, efficaci quanto serve Sergio Foresti, Eufemia Tufano e Mirco Palazzi nelle parti di contorno. Rinaldo Alessandrini dirige un manipolo strumentisti del teatro (una menzione particolare per Stefano Pignatelli nell'aria con corno obbligato) relegati in fondo al palcoscenico: il suono risulta conseguentemente ovattato, privo di brillantezza, ma ne guadagnano i cantanti, proiettati oltre il proscenio, sulla buca richiusa dell'orchestra. Il palcoscenico vero e proprio è piuttosto occupato da parchi arredi scenici (di Margherita Palli), che scandiscono simbolicamente le diverse ambientazioni, e da due schermi giganteschi nei quali vengono proiettate immagini computerizzate e celebri spezzoni holliwoodiani sulle gesta di Cesare e Cleopatra. Il messaggio esce chiaro: è attraverso quei volti americani che l'uomo del secolo XX si è formato un'immagine degli antichi eroi egizi e romani, ed è in quella grandeur cinematografica che si concretizza per noi un senso del barocco artificioso e magniloquente insieme, paragonabile con quello che lo spettatore händeliano ritrovava in complesse macchine sceniche e nella recitazione iperespressiva di castrati con cimiero e primedonne sul coturno. Dopo decenni in cui la regia operistica d'autore ha rifuggito come il diavolo l'effetto tautologico di ripetere nelle immagini ciò che già le parole e la musica dicono, ci troviamo però qui di fronte all'effetto opposto: non più una soltanto, ma ben tre teste mozze di Pompeo vediamo dunque contemporaneamente (una in scena e due sugli schermi) e tante situazioni cui le parole accennano, tanti sentimenti cui la musica allude, vengono raddoppiati da quelle proiezioni con esiti didascalici. Per il resto, il grande merito di Ronconi è stato quello di non aver considerato le arie come un arresto dell'azione, ma l'azione stessa, amplificata sì in lunghi brani canori, ma che nulla hanno di statico, in quanto è proprio nel corso di essi che l'azione si dipana e il personaggio si costruisce: sono in genere caratterizzazioni forti (perseguite anche dai costumisti Simone Valsecchi e Gianluca Sbicca negli abiti "moderni" dei personaggi principali, contrapposti a quelli "antichi" delle comparse), così che i cattivi si fanno ancora più perfidi e i buoni più eroici. Buon successo per tutti, a dimostrazione che il Settecento operistico non è finalmente più una prerogativa degli stranieri, né sul palcoscenico, né in platea.

Interpreti: Daniela Barcellona, Mirco Palazzi, Sara Mingardo, Monica Bacelli, Maria Bayo, Silvia Tro Santafé, Sergio Foresti, Eufemia Tufano

Regia: Luca Ronconi

Scene: Margherita Palli

Costumi: Gianluca Sbicca e Simone Valsecchi

Orchestra: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna

Direttore: Rinaldo Alessandrini

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