Debutto italiano del giovanissimo direttore finlandese Tarmo Peltokoski

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo

Tarmo Peltokoski (Foto ANSC©Musa)
Tarmo Peltokoski (Foto ANSC©Musa)
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Tarmo Peltokoski  
24 Aprile 2024 - 27 Aprile 2024

Nel 2022 Tarmo Peltokoski è stato nominato direttore musicale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Lituana e principale direttore ospite della Deutsche Kammerphilharmonie Bremen e poco dopo della Filarmonica di Rotterdam, tre orchestre ottime seppure non stellari. Ora per il suo debutto in Italia ha potuto scegliere il meglio, ossia l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, e proseguirà su questo livello dirigendo la Filarmonica della Scala il prossimo 27 ottobre. Intanto dirige in Europa ed America salendo sul podio di grandi orchestre e, en passant, ha diretto l’intera Tetralogia di Wagner. Una bella carriera per chiunque ma straordinaria per un ragazzo di ventiquattro anni, compiuti il 21 aprile, un giorno prima di iniziare le prove del suo concerto romano. Talenti precocissimi come lui non sbocciano dal nulla ma sono il risultato del sistema finlandese, che mette la bacchetta in mano ai bambini di otto anni, quasi per gioco, e a quattordici anni, se dimostrano delle doti, li avvia a studi regolari con ottimi maestri quali Sakari Oramo e Jorma Panula. È così che nascono i Mäkelä e i Peltokoski.

Non si creda che questo giovanissimo finlandese si esibisca come un prodigio di precocità che desta stupore e meraviglia ma lascia dubbiosi sui possibili sviluppi futuri. Peltokoski dimostra non solamente naturale inclinazione per la musica ma anche perfetto controllo dell’orchestra, estrema sensibilità per ritmi e colori, profonda conoscenza delle partiture che dirige e anche consapevolezza che per ora è meglio evitare musiche che richiedano grande maturità d’interprete, ma questo non gli impedisce di presentarsi con programmi interessanti e di notevole difficoltà.

Il suo concerto romano è iniziato con “Una notte sul Monte Calvo” di Modest Musorgskij nell’orchestrazione originale del 1867, con il basso solista, il coro e il coro di voci bianche aggiunti quando il compositore pensava di inserirla nell’opera “La fiera di Soročincy”, rimasta incompiuta alla sua morte. Peltokoski l’ha diretta con gesto netto, preciso, energico e senza fronzoli, mettendone in rilievo l’orchestrazione grezza e ruvida e l’armonia aspra e dissonante, genialmente originali e antiaccademiche. Le dinamiche erano molto vigorose ma Peltokoski ha avuto l’accortezza di non dare precocemente fuoco alle polveri e di giungere con un lungo e irresistibile crescendo all’acme sonora e drammatica del brano, che porta all’apparizione del demonio e del suo mostruoso corteggio. Ottimo il basso Giorgi Manoshvili nel suo breve intervento e ottimissimi (se ci si passa la sgrammaticatura) il Coro e le Voci bianche dell’Accademia di Santa Cecilia, preparati dai loro rispettivi maestri Andrea Secchi e Claudia Morelli, e l’Orchestra.

Si voltava totalmente pagina con una delle composizioni più rappresentative della musica del Novecento, la “Rapsodia in blu”, che nel 2024 compie cent’anni. Anche George Gershwin, come Musorgskij, prese spunto dalla musica e dalla cultura popolari, non però per evocare una spaventosa e demoniaca leggenda russa ma per trasportarci nelle ruggenti e folli atmosfere newyorchesi degli Anni Venti. Questa musica è sempre piacevole e accattivante ma raramente così affascinante come in quest’interpretazione. Il lever de rideau era da antologia, con il celebre glissando iniziale e il successivo solo di Alessandro Carbonare, primo clarinetto dell’orchestra. Sotto la bacchetta di Peltokoski l’orchestra era spontanea, naturale e brillante, come se tutti, direttore e professori d’orchestra, fossero abituali frequentatori dei locali della New York di quegli anni. Il pianoforte di Alexandre Tharaud aggiungeva allo swing eleganza e seduzione francesi, rendendo brillante ogni nota ma senza cadere in preziosismi fuori luogo e restando sempre molto naturale, disinvolto e spiritoso. E non ostentava la sua tecnica superlativa ma la usava per far apparire tutto facile e spontaneo. Applausi entusiastici per il direttore e soprattutto per il pianista, che ha ringraziato (ci riferiamo alla prima di mercoledì) con due graditissimi bis: la trascrizione pianistica di "The man I love" di George Gershwin e un’improvvisazione su “Padam, padam” di Edith Piaf.

Nella seconda parte si tornava a Musorgskij con “Quadri di un‘esposizione” orchestrati da Maurice Ravel. Qui Peltokoski, che prima aveva usato un gesto molto misurato e geometrico, si è scatenato con una gestualità ampia e imperiosa per dare risalto ai prodigi orchestrali di Ravel, senza però farne un seguito di squisite raffinatezze francesi fini a sé stesse ma evidenziando acutamente quanti diversi colori, anche acidi e rudi, Ravel abbia escogitato per caratterizzare ognuno dei brevi episodi di questa esposizione di quadri, che svariano dai giochi dei bambini alla capanna della strega, dal balletto dei pulcini nei loro gusci alla grandiosità della porta di Kiev. È stata un’esecuzione esemplare per la precisione e la giustezza delle idee e per lo splendore della realizzazione, che ha entusiasmato il pubblico che gremiva la grande sala. Gli spettatori applaudivano Peltokoski, Peltokoski faceva alzare e applaudiva i solisti e le varie sezioni dell’orchestra, l’orchestra applaudiva Peltokoski: una vera festa.

 

 

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