Alfa Mist, tutti gli umori della black music

L’artista britannico con la sua band suona al Monk per il Roma Jazz Festival

Alfa Mist (foto Music Photography Academy)
Alfa Mist (foto Music Photography Academy)
Recensione
jazz
Monk, Roma
Alfa Mist
18 Novembre 2022

Al Monk, in un contesto completamente diverso dal Parco della Musica, nella semi periferia romana insomma (ma siamo comunque ampiamente all’interno del Grande Raccordo Anulare) il jazz si ascolta e, soprattutto, si vive stando tutti in piedi, muovendosi liberamente per spostarsi all’interno dello spazio destinato al pubblico, sorseggiando una birra fresca o allontanandosi un momento all’esterno per prendere un po’ dell’aria fresca che in questa stagione caratterizza Roma alla sera.

Il sound di Alfa Mist pare inserirsi perfettamente in quest’atmosfera cupa, quasi dark, riesce a spostare senza problemi la propria musica dagli ambiti jazzistici, spesso sperimentali, a quelli del pop elettronico e soprattutto a quelli di un hip hop mai aggressivo, bensì malinconico.

Forse però è inutile, oltre che complicato, cercare definizioni per inquadrare questo artista inglese, costringendolo all’interno di etichette poco funzionali. Vero è che a risultare originale è la sua combinazione sonora piuttosto che i singoli elementi che ne fanno parte. In certi momenti pare di esser capitati in un concerto della Cinematic Orchestra, in altri a qualcuno potrebbero tornare alla mente le canzoni di Sting, vero comunque che il suo jazz-soul risulta tra le proposte più vitali di una scena britannica che ormai attinge dalla tradizione con la stessa naturalezza con cui si rivolge al funk e all’hip hop.

Alla tastiera Alfa Mist guida la sua band, ma non risulta mai ingombrante — dimentichiamo quindi le sonorità esclusivamente pianistiche del suo bellissimo On My Ones — anzi si affida all’apporto costruttivo e ben integrato di tutti i musicisti presenti sul palco. Una particolare menzione per la tromba di James Copus, che si avvale di riverberi particolarmente affascinanti, e per la seducente voce di Kaya Thomas-Dyke, impegnata anche a sostenere l’intero gruppo col suo basso.

Serata molto apprezzata dal pubblico presente, un pubblico di certo molto diverso da quello che accetta di ascoltare il jazz seduto nelle sale del Parco della Musica, dove pure si sono svolti molti degli eventi previsti dal Roma Jazz Festival di quest’anno.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

Usato sicuro e un tocco british per il quarantunesimo Cully Jazz

jazz

Applausi al teatro Bonci di Cesena per il debutto della suite Psycho-Chambers (Prisms #1 #2 #3) della Exploding Star Orchestra

jazz

Bel successo di pubblico per la prima edizione dello storico festival diretta da Joe Lovano