Sindaci e sovrintendenti, il caso del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino 

Quarta defenestrazione di fila di un sovrintendente

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Il Teatro del Maggio
Il Teatro del Maggio

Abbiamo già dato notizia della lettera di dimissioni di Alexander Pereira da sovrintendente , su esplicita richiesta del sindaco di Firenze nonché presidente del consiglio d’indirizzo del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Dario Nardella

Prima di lui, Francesca Colombo (2010 - 2013), Francesco Bianchi (come commissario straordinario e poi come sovrintendente, 2013 -  2017) e Cristiano Chiarot (2017 – 2019) erano stati rimossi, allontanati e/o indotti alle dimissioni in varie guise e modalità sotto i mandati di sindaco di Matteo Renzi  (2009 -2014) e Dario Nardella, una vicenda di cui abbiamo dato conto molte volte e per cui rimandiamo a quanto scritto in occasione di questi – chiamiamoli così – avvicendamenti, in particolare in occasione delle ultime vicende della gestione Colombo,  della conclusione del mandato di Francesco Bianchi  e di Cristiano Chiarot .

Vero che ciò succede un po’ dapppertutto in Italia. Sembra peraltro evidente, a questo punto, che i sindaci di Firenze debbano chiarirsi le idee su cosa vogliono:  ritornare ai pristini splendori di teatro di profilo internazionale in grado di competere con i festival più importanti e con i principali teatri (un obiettivo che Nardella ha sempre in bocca, e Renzi prima di lui), e allora si chiama un Pereira, ma consapevoli dei rischi che si corrono, una consapevolezza per cui sarebbe bastato ai sindaci in questione scrivere Pereira nella funzione di ricerca delle news del “Giornale della Musica”. E una volta chiamatolo, sostenerlo fino in fondo, con la coscienza di tutto quello che ciò comporta:  molte entrate in sponsorizzazioni, spettacoli spesso di alto e altissimo profilo, capacità di tappare buchi nei cast e sul podio all’ultimo momento con sostituzioni più che adeguate, grazie ai rapporti maturati in decenni di carriera, ma alti costi relativi anche non strettamente giustificabili, del tipo “se vuoi Cecilia Bartoli nell’Alcina devi prenderti anche la sua orchestra di fiducia”,  e il tipo di amministrazione che ne consegue. Oppure si cerca un sovrintendente più attento al lato gestionale e alla ricostruzione dei rapporti con il pubblico e il territorio, e allora si chiama un Cristiano Chiarot e parimenti lo si sostiene fino in fondo, e non è che con Chiarot non si siano visti spettacoli di grande rilevanza, come il Lear di Aribert Riemann che inaugurò il Maggio 2019. Dei casi Francesca Colombo e Francesco Bianchi non stiamo a parlare, trattandosi di scelte politiche, di sovrintendenti di fondazioni lirico-sinfoniche in realtà non professionalmente formati, tant’è che dimettendosi Francesco Bianchi  affermò di voler tornare al suo mestiere vero, quello di banchiere, mentre nel caso della Colombo potremmo parlare di un costoso apprendistato in vista forse del sogno di una collocazione più prestigiosa (peraltro mai avvenuta). 

   In sostanza, dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, dalla fine della sovrintendenza di Francesco Ernani (con la direzione artistica di Cesare Mazzonis)  a oggi, chi ha guadagnato di più da questa situazione ? Quantità e qualità della programmazione ? Fatta la media sul lungo periodo di un quarto di secolo, non diremmo. Orchestrali e coristi ? no di sicuro, perché a lungo e forse tuttora guadagnano meno dei loro corrispettivi in altre fondazioni italiane, anche in virtù dei diktat subiti nelle varie operazioni di “salvataggio” e “risanamento” susseguitesi negli anni, senza che nessuno abbia ancora fatto un’analisi di come, quando e per colpa di chi si è formato il pauroso debito pregresso a cui si riferisce Pereira. Abbonati e acquirenti di biglietti ? No, perché sottoposti all’aumento dei costi di biglietti e abbonamenti in una fase di impoverimento generale.  

   Qualcuno ci ha guadagnato: l’edilizia, come sempre in Italia, unità di missione, gare fra archistar o quasi e grandi studi titolati, grandi opere grazie a fondi speciali: il nuovo teatro, ricordiamolo, è legato infatti agli stanziamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’Italia unita, con lavori poi protrattisi a lungo, dall’inaugurazione del 2012 fino ai recenti lavori sul palcoscenico che, a detta di Dario Nardella, ne hanno fatto  “una macchina scenica che non ha eguali in Europa". Non siamo certo tra quelli che rimpiangono il vecchio teatro di corso Italia, tutt’altro, ma sta di fatto che oggi come oggi, a Firenze, a dispetto di questa meravigliosa macchina scenica, non ci sono né le risorse né il pubblico per riempire una sala da 2000 posti e una di 1000 con programmazioni adeguate. Dare tutta la colpa di questo agli alti prezzi dei biglietti dell’era Pereira non è sufficiente, in fondo il biglietto a 15 euro “a scarsa visibilità” corrisponde ai vecchi “posti d’ascolto” della nostra remota gioventù da cui migravamo in cerca di posti migliori non occupati. Forse i sindaci di Firenze dovrebbero interrogarsi sul presente e sul futuro di una città che oramai vive quasi solo di turismo non necessariamente culturale e di ristorazione, e la cui base demografica, fiscale, anche socio-culturale, si è così contratta. Chi scrive ricorda tempi in cui la stagione sinfonica andava avanti con quattro recite a concerto, cioè circa 8000 persone… non crediamo sia solo colpa di Pereira e dei suoi prezzi, questa contrazione. Aspettiamo di vedere di che morte si muore, se avremo un nuovo commissariamento o un nuovo sovrintendente, ma intanto osserviamo che finora i commissari hanno fatto più che altro dei danni, e che nessun sovrintendente intenzionato a far bene accetterebbe il posto, se non per brevi e insignificanti  mandati “interinali”, da sindaci che al suo insediamento hanno fatto le dichiarazioni più trionfali, e poi hanno provveduto alle defenestrazioni. A meno di amare molto Firenze e il suo teatro.  

 

 

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