Sun of Goldfinger, un maremoto in casa ECM

Il progetto in trio di David Torn, Tim Berne e Ches Smith debutta su disco

Sun of Goldfinger (Foto di Robert Lewis/ECM Records)
Sun of Goldfinger (Foto di Robert Lewis/ECM Records)
Disco
jazz
David Torn/ Tim Berne/ Ches Smith
Sun of Goldfinger
ECM
2019

Sun of Goldfinger è il soprannome di questo straordinario, affiatato, sperimentale, terzetto, composto dallo sferzante chitarrista elettrico David Torn, l’alto sassofonista Tim Berne (quanto mai elastico, “incagliato” e ronzante), e l’eccezionale percussionista (anche elettronicamente tribale) Ches Smith, forse meno noto degli altri due protagonisti (pur se componente stabile degli Snakeoil di Berne del trio Ceramic Dog di Marc Ribot), ma dalla vena creativa, estatica e rombante, inesauribile. 

I tre, pur suonando insieme da diversi anni, sono alla prima prova discografica, dall’ampio e sorprendente respiro orchestrale (complice il continuo funzionale utilizzo di elettronica), che si presenta fin da subito come un entusiasmante e ipnotico viaggio sonoro alla perfetta confluenza tra jazz, rock e avanguardie creative, espressione di un’equilibrata avvincente mescola tra sospesi e imprevedibili passaggi improvvisati, in cui a farla da padrone sono in primis le capacità d’ascolto di ognuno, e calibrati preordinati arrangiamenti. 

Una magnetica tumultuosa formula la loro, a seconda dei momenti, gelida e incandescente, “ottusa” e “cantabile”, saturata e al contempo precipitevole nel vuoto obliante, dispiegata in tre intense ed estese composizioni, ricche di episodi e dinamiche interne (orchestrali, timbriche, ritmiche, soniche, ambientali), che certo non sarebbe dispiaciuta al Miles elettrico (ma ovviamente non solo). 

A dir la verità, nel brano centrale del disco, la “sinfonica” composizione di Torn "Spartan Before It Hit", ad aggiungere ulteriore densità all’esuberante impasto sonoro del trio ci pensano i chitarristi Ryan Ferreira e Mike Bagetta, il grande tastierista Craig Taborn e gli archi dell’eclettico (anche blasonato) Scorchio Quartet, perfettamente inseriti nel plurale contesto. 

Della musica profonda e visionaria di questo audace e pirotecnico ensemble newyorkese, pare che il London Jazz abbia scritto: «questa è musica pericolosa – a volte arrabbiata, a volte beata e illuminante; con i suoi cupi rimbombi provoca non tanto una marea, quanto un vero e proprio maremoto». Non potremmo essere più d’accordo.

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