Nik Bärtsch, musica come arte marziale

Nel disco Entendre il minimalismo modulare per piano solo del musicista svizzero

Nik Bärtsch (foto Christian Senti)
Nik Bärtsch (foto Christian Senti)
Disco
jazz
Nik Bärtsch
Entendre
ECM
2021

Personalità eclettica, l’artista svizzero Nik Bärtsch raccoglie in questo disco uscito qualche mese fa per l’etichetta di Manfred Eicher una selezione di brani che rappresentano l’essenza della sua concezione musicale. Un distillato della sua personale visione artistica tratteggiato in sei tappe che ci accompagnano nel cuore di una identità sonora che unisce arte e rito, espressività e disciplina.

E di disciplina Nik Bärtsch ne possiede sicuramente, anche solo per riuscire a tenere le fila delle mille attività che coltiva attraverso i tracciati paralleli rappresentati dai suoi diversi interessi: proprietario del club zurighese Exil che egli stesso descrive come un organismo che si autoalimenta per creare musica sperimentale, accademico appassionato di linguistica, filosofia e docente di estetica, maestro di arti marziali e cintura nera di aikido.

E proprio le arti marziali emergono come parallelo per interpretare in qualche modo la sequenza di brani musicali qui raccolti, tutti denominati “Modul” con numerazioni differenti tranne l’ultima composizione titolata “Déjà-vu, Vienna”. Lo stesso pianista evidenzia come questi pezzi possano essere considerati dei modelli malleabili più che delle composizioni fissate nella loro forma definitiva, come «un allenamento di base nelle arti marziali, che può essere adattato a ogni tipo di situazione. Il mio modo di lavorare è creare nuovi contesti. Ogni pezzo gioca con l’idea di composizione, interpretazione e improvvisazione, ed è alimentato dalla stessa forza, ma può creare risultati molto sorprendenti…».

Musica come espressione riflessiva, generata da una materia sonora che miscela lavoro sul tempo-ritmo ripetuto e ripetitivo e impulso armonico-timbrico, come emerge fin dal primo brano “Modul 58-12” che unisce composizioni precedentemente incise con le diverse formazioni strumentali dello stesso Bärtsch – “Modul 58” con il quartetto Ronin e “Modul 12” con il trio Mobile – come frutto del percorso improvvisativo: il brano, infatti, «ha preso quella direzione in studio – annota il pianista –, non l’avevo pianificato e non mi aspettavo che si sviluppasse in quel modo. L’accostamento di questi due pezzi forse non è una coincidenza, ma più che altro un richiamo interiore».

Un carattere che Bärtsch innesta in tutto il percorso solistico qui proposto, disegnando una sorta di dialogo interiore, appunto, con un pianoforte che ora appare uno strumento eminentemente percussivo, ora viene accarezzato sulle corde, ora ancora viene sollecitato attraverso percorsi armonici che scardinano più o meno a sorpresa una fissità di fondo che segna nel complesso quasi tutti i brani di questo album.

Traccia dopo traccia, ci si trova come immersi in una sorta di epifania sospesa, che si manifesta di tanto in tanto come, per esempio, attorno al minuto 10 del terzo brano “Modul 26”, o che cambia lo scenario generale nel già citato “Déjà-vu, Vienna”, composizione che chiude un disco che raccoglie un lavoro musicale ed espressivo, al tempo stesso, interessante e interlocutorio.

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