Michael Formanek Very Practical Trio: anche meglio su disco
Even Better di Michael Formanek con Tim Berne e Mary Halvorson scrive una pagina nuova e affascinante del jazz di oggi.
21 ottobre 2019 • 2 minuti di lettura
Michel Formanek Very Practical Trio
Even Better
Esordio discografico per questo nuovo Very Practical Trio del contrabbassista Michael Formanek, dopo l’approdo su Intakt nel 2018 con l’Elusion Quartet (Tony Malaby, Kris Davis e Ches Smith). Sono della partita Tim Berne con il suo sax alto (i due incrociano gli strumenti sin dagli anni novanta) e Mary Halvorson, pupilla di Braxton e chitarrista sulla cresta dell’onda, con cui il leader condivide il progetto Thumbscrew.
Very Practical Trio, musica dal futuro
Dal groove implacabile e lievissimo di “Suckerpunch” capiamo subito che le cose si mettono nel migliore dei modi: una personalissima idea di canzone, quella di Formanek, lontana dal consueto modus operandi del jazz, dove sulla struttura tematica dei brani fioriscono improvvisazioni calibratissime e nitide, che aggiungono un benvenuto quid di anarchia a queste architetture perfettamente congegnante. Non si tratta affatto di musica cervellotica o accademica e algida, si badi bene; l’eccellente livello di scrittura e il talento dei tre musicisti fa galleggiare i brani in una fertile terra di mezzo tra lirismo, furore, ossessione e armonia. Ritmi asimmetrici e imprendibili che restano a mezz’aria proprio per l’assenza della batteria (scelta assolutamente vincente), soul sghembi e ornettiani , misteriosi come lo sguardo di una statua (“Like Statues”, appunto), selve astratte fittissime (“Still Here”, quasi dieci minuti di mappe in cui naufragare a occhi chiusi), visioni americane à la Frisell in acido (“Shattered”), pendii ripidissimi (“The Shifter”), geometrie, ordalie, teorie sul caos.
Even Better by Michael Formanek Very Practical Trio
Un drive prodigioso, una capacità di dosare magistrale e un feeling che ha la magia del rabdomante nel battere strade che portano lontanissimo dall’ovvio. Tra frangenti più distesi e ampi (“Apple and Snake”), nevrosi matematiche (“But Will It Float”), inaspettati numeri di fugace quasi rock (“Bomb The Cactus”, forse l’unica traccia non convincente del lotto) e un mood sempre e comunque irrequieto, sfuggente, enigmatico, i tre pesi massimi, qui in stato di grazia, si confermano musicisti cruciali dell’attualità jazz , capaci di suonare puntuali pur squadernando l’ovvio, rigorosi e folli, densi e impossibili, cubisti e descrittivi.
Il sipario si chiude sui languidi fotogrammi virati seppia di “Jade Visions”. Il concerto a inizio anno a Mantova ci aveva convinto pienamente, Even Better è una conferma pienissima del livello stellare di questa formazione che reinventa la geometria: un triangolo in cui perdersi, una volta di più, ancora, ancora meglio.