Katcharpari, torna il Rava elettrico

Riproposto in digitale lo storico disco di Enrico Rava, mai ristampato: un'occasione per riascoltarlo

Katcharpari Enrico Rava ristampa
Disco
jazz
Enrico Rava
Katcharpari
BASF/MPS
2017

Da un rapido giro su Discogs (che, per carità, la Bibbia forse non sarà, ma il polso del mercato del vinile lo sa tastare abilmente), emerge che per il vinile di Katcharpari – l’originale BASF è del 1973, una successiva ristampa nell’81 – o anche solo per il 45 giri della title-track, almeno un cinquanta euro uno deve essere disposto a sborsarli.

Alla MPS devono avere pensato bene di lasciare le cose come stanno, dal momento che questo “classico” disco – importante per molti motivi, vedremo – di Enrico Rava viene ora riproposto esclusivamente in “ristampa” digitale, disponibile dall’11 di agosto su iTunes e, dopo due mesi di esclusiva, anche sulle altre piattaforme.

Con un pizzico di rimpianto per la, per ora, sfumata possibilità di rivedere il disco in una nuova edizione “fisica” (non è mai stato ristampato nemmeno in cd, ma il progetto di “disponibilità” digitale dell’etichetta tedesca non è indifferente e permetterà, entro la fine del 2017 di avere tutto il catalogo disponibile online), cogliamo l’occasione per (ri)parlarne.

L’anno è il 1973, Rava ha da qualche mese sfornato il bel debutto con Il giro del giorno in 80 mondi e di quel gruppo conferma il batterista Chip White e Bruce Johnson, spostando quest’ultimo al basso per fare posto a un chitarrista di maggiore levatura come John Abercrombie.

Stando alle “memorie” del trombettista, è un concerto del quartetto al Jazz Power di Piazza Duomo, a Milano, a convincere Giacomo Pellicciotti a produrre il disco per la BASF. La cosa funziona – non a caso Rava lo definisce “disco della svolta” – le recensioni sono lusinghiere e, soprattutto, stuzzica l’orecchio lungo di Manfred Eicher, che produrrà i principali dischi degli anni successivi.

Riascoltando oggi il lavoro, non è difficile capire il perché di tanta attenzione: le sette tracce di Katcharpari sono di ispirata freschezza. Il “clima” è quello elettrico del periodo (On The Corner di Miles Davis è uscito da pochi mesi, così come Return To Forever di Chick Corea), ma Rava è in un momento di felice sintesi anche delle intuizioni di Don Cherry – cui, non a caso, è dedicato esplicitamente un tema – e delle recenti esperienze oltreoceano, sia a Nord che a Sud.

Il titolo, Katcharpari, viene infatti da un pezzo tradizionale argentino (luogo chiave nella biografia del trombettista). Rava lo ascolta nell’interpretazione di Uña Ramos alla quena (il tipico flauto andino in bambù) e lo ripropone in una versione che ammorbidisce il tipico mood alla Inti Illimani grazie a un trattamento che potremmo definire “psych-mediterraneo”, che non a caso Valerio Mattioli, citando il disco nel suo libro Superonda – Storia segreta della musica italiana, ha intravisto “lambire lande morriconiane”.

L’iniziale "Bunny’s Pie" introduce la musica con un clima di sospensione quasi allucinata (che molto deve al Davis del tempo) che rapidamente esplode nella veloce ipnosi centrifuga di "Trial N. 5", campo dove sia Rava che Abercrombie possono sfogare lungamente le pulsioni solistiche.

Con "Dimenticare Stanca" ci troviamo di fronte a uno dei primi esempi del tipico lirismo compositivo agrodolce di Rava, un lirismo che non ha ancora trovato l’icasticità di alcuni temi degli anni successivi, ma che tratteggia già quell’ambiguità un po’ sorniona che del trombettista sarà poi un “marchio di fabbrica”. Il brano trova poi uno svolgimento funk forse un po’ troppo allungato, ma nello spirito dei tempi.

Tipici avvitamenti jazz-rock anche in "Fluid Connection", mentre "Cheerin’ Cherry", cui accennavamo sopra, riconnette la musica Rava a radici africane (con uso della voce) attraverso la visione di Don Cherry, che di lì a poche settimane inciderà la seminale Relativity Suite. Si chiude con un breve momento lirico scritto da Johnson e cui Rava dona un’affinità del tutto naturale.

La copertina del disco, con uno splendido uccello colorato, è dell’allora poco più che ventenne Ariel Soulè, anch’egli argentino, poi artista di buona fama, che contribuirà negli stessi anni anche a belle copertine di dischi come Sightsongs di Muhal Richard Abrams e Malachi Favors o A Sea Of Faces di Archie Shepp. Un lavoro importante, Katcharpari: negli anni successivi, tra i “pasticci” newyorkesi che portarono al materiale di Quotation Marks, l’insoddisfacente Pupa o Crisalide, l’incontro con Massimo Urbani e, soprattutto quello con Eicher, Rava troverà i felicissimi esiti di dischi come The Pilgrim And The Stars, Plot, Quartet.

Da riscoprire e riascoltare digitalmente, in attesa che venga magari ristampato o che abbiate voglia di spendere qualche decina di euro per un po’ di nostalgia vinilica.

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