Gli amori di Park Jiha

L’artista sud-coreana Park Jiha pubblica Philos: minimalismo, ambient e strumenti tradizionali

Park Jiha
Park Jiha
Disco
world
Park Jiha
Philos
tak:til / Glitterbeat
2019

Tre anni dopo il suo album di debutto Communion, distribuito in Occidente due anni dopo dalla Glitterbeat Records, l’artista sud-coreana Park Jiha realizza Philos, un lavoro nel quale, come d’abitudine, si cimenta con strumenti tradizionali quali il piri, il saenghwang e lo yanggeum. Il risultato finale è un disco che esprime amore per il tempo, lo spazio e i suoni.

Insieme ai Jambinai, che recentemente hanno dato alle stampe Onda, la giovane Park Jiha è un elemento di spicco della scena “tradizionale” sud-coreana; le virgolette sono d’obbligo perché, se è vero che la musicista impiega strumenti tradizionali, è altrettanto vero che i territori in cui si spinge sono quelli delle iterazioni ipnotiche del minimalismo e dell’ambient.

Se Communion era il frutto di un lavoro corale in cui comparivano anche i fiati, Philos è davvero un disco solista, nel quale Park Jiha suona tutti gli strumenti, coinvolgendo solo l’artista libanese Dima El Sayed nella recitazione di “Easy”, una sua poesia ispirata dai lavori della musicista orientale.

«Tu vedi, tu senti / il dolore, la paura / le bombe che piovono / i poveri che soffrono / tutti i movimenti di massa adesso sembrano inutili / e tu mi stai dicendo di stare tranquilla?» – “Easy”

Un tappeto sonoro di musica concreta che si avvicina all’ASMR (Autonomous Sensory Meridian Response) su cui Dima El Sayed se la prende con il significato di “spiritualità” ridotto a “prenditela comoda, stai tranquilla”, ricordando che in realtà non c’è da stare tranquilli di fronte alle crisi dei rifugiati o alla possibile catastrofe climatica.

Il brano è preceduto da “Arrival” dove fa la sua prima comparsa lo yanggeum, un dulcimer a corde percosse che ricorda il santur persiano, e da “Thunder Shower”, descrizione nostalgica ed evocativa del dono rappresentato da un inatteso temporale che interrompe la calura estiva: come ha commentato la web radio francese Le Grigri, “quando questo temporale estivo vi scoppierà nelle orecchie, potrebbe essere che dell’acqua vi coli dagli occhi”.

La title-track mette in mostra suoni sovrapposti e tempi dilatati, “Walker: In Seoul” è la descrizione pulsante del paesaggio sonoro della città in cui Jiha vive, When I Think of Her” ammalia  con le sue melodie spettrali.

«Suono uno strumento tradizionale coreano chiamato piri, qualcosa tipo un oboe, un flauto di bambù a doppia canna in modo da risultare piuttosto potente. Ma scelgo anche il saenghwang, un organo a bocca, lo yanggeum, un dulcimer a corde percosse, le percussioni o la voce a seconda del tipo di musica che sto componendo. Scegliere uno strumento ha a che fare con quale voce voglio parlare. Proprio come la voce umana, ogni strumento ha il suo proprio fascino».

Philos descrive un mondo insoddisfatto di sé, bisognoso di pause di riflessione e di semplicità, la stessa, tutt’altro che esile, che Park Jiha raggiunge in questo lavoro, cancellando i confini tra il suo privato e la sua arte musicale, ormai pienamente compiuta.

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