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Un originale percorso di lettura tra melodramma e vocalità

AR

08 novembre 2025 • 7 minuti di lettura

Un palco al Théâtre des Italiens (Eva Gonzales, 1874)
Un palco al Théâtre des Italiens (Eva Gonzales, 1874)

Alcuni volumi pubblicati in tempi più o meno recenti hanno affrontato il tema dell’opera lirica e della vocalità partendo da angolazioni anche molto differenti, ora indagando in maniera originale il concetto stesso di opera e melodramma, ora perlustrando il canto lirico e la vocalità da diverse prospettive. Un percorso diversificato che, pagina dopo pagina, libro dopo libro, dischiude stimolanti prospettive di indagine e approfondimento.

Confessioni di un melomane sentimentale

Nel suo libro Opera, neutro plurale (Milano, il Saggiatore 2024, pp. 416, € 26,00) Emilio Sala – professore ordinario di Musicologia all’Università statale di Milano – propone un personale giro del mondo operistico in ottanta voci, un vero e proprio “glossario per melomani del XXI secolo”, come spiega significativamente il sottotitolo.

Un lavoro originale, che propone un punto di osservazione diversificato e variamente articolato, ricco di obliqui spunti di riflessione sull’opera lirica, consapevolmente eterogenei e non necessariamente ortodossi, animati qua e là da quella sorniona – e, in questo caso, mai tracotante – ironia intellettuale che sovente contraddistingue quegli esperti d’opera che a una brillante intelligenza uniscono una solida erudizione.

Dai rimandi se vogliamo più lineari e naturali – non foss’altro per la comune matrice occidentale –tra melodramma e cinema, fino ai paralleli invero un poco più complessi con le tradizioni “operistiche” mediorientali – kabuki giapponese, jingju cinese, khōn thailandese, ta’ziyeh iraniano – Sala disegna un percorso fresco e stimolante, a tratti anche abitato da inaspettati scarti di lato prospettici, di quel complesso e a tutt’oggi inopinatamente brulicante mondo che appelliamo “opera lirica”.

Un mondo che attualmente, almeno in Italia (al netto degli addetti ai lavori e di un pubblico d’occasione più o meno ignaro di ciò che lo rapirà per le successive 2 o 3 ore di vita) pare essere transitato dalla palude passatista ma perlomeno schiettamente appassionata di nostalgici – e, in fondo, anche simpatici e a tratti pittoreschi – loggionisti, al pantano autoreferenziale di affettati melomaniaci, organizzati in schiere di ottuse tifoserie pronte a sostenere – in teatro ma anche sui social media – il beniamino di turno (sia esso cantante, direttore, regista, compagine strumentale, istituzione teatrale e così via). Ecco, in questo panorama Emilio Sala nelle pagine del suo libro mostra una terza via, forse meno comoda e più impegnativa, ma infinitamente più stimolante rispetto alle precedenti prospettive.

La magia dell’opera è illusoria ma non ingannevole

Sulla scorta di una scelta consapevole e dichiarata, l’autore supera le consuete contingenze nozionistico-cronachistiche (ma anche di costume, con relative e marchiane derive pseudo-giornalistiche) alimentando il suo ragionamento grazie a una profonda conoscenza dell’oggetto trattato – e del suo contesto allargato – oltre a solidi innesti psicoanalitici. Prospettive, queste, manifestate fin dalla sua Premessa: «La cultura operistica è inseparabile dalle passioni eccessive che ha suscitato, e ancora suscita, tanto nel loggionista occidentale quanto nel piaoyou cinese. Si può affrontare la melomania in termini puramente sociologici? Secondo me no. Ecco spiegato il taglio psicoanalitico di questo libro». Uno sguardo animato da figure come, tra le molte altre, quella di Jacques Lacan, che porta Sala ha confessare – in quanto, supponiamo noi, melomane sentimentale – il suo punto di vista di partenza: «La magia dell’opera è illusoria ma non ingannevole. Ammaliati dalle voci che popolano il suo immaginario ipertrofico, protetti (ma anche imprigionati) dai rituali istituzionali dell’apparato simbolico cui apparitene, l’opera da una parte ci spinge fuori dalla realtà della vita normale, dall’altra ci predispone all’inaspettato incontro con il “reale”, cioè con l’impossibile».

Una visione nella quale anche il quadro di riferimento si amplia in maniera, per così dire, non scontata, come possiamo apprendere da uno stralcio delle Riflessioni conclusive: «il modo di concettualizzare l’opera sotteso a questo lavoro (e condensato nella formula “opera, neutro plurale”) prevede [che] non solo il Singspiel, ma anche l’operetta e il musical (così come la ballad opera, l’opéra-comique, la zarzuela ecc.) vanno ricondotti all’eterogeneità ontologica di un concetto aperto come quello di opera, sotto il quale possono convivere tanti fenomeni disparati, ma interconnessi e riconducibili alla stessa matrice».

In questa prospettiva, le ottanta voci che compongono il “glossario” di Emilio Sala meritano di essere lette e rilette sia con la circospetta intelligenza dell’interessato scopritore di preziose oggetti culturali, sia con la vorace curiosità del cultore d’opera appassionato ma non uniformato, che non cerca conferme ma prospettive diverse e – sempre che si legga con attenzione – persino inattese.

Il “belcanto” da Rossini al primo Verdi

Cambiando prospettiva, proviamo a entrare in un ambito un poco più delimitato qual è il concetto di “belcanto” come viene declinato da Peter Berne – già direttore d’orchestra e docente all’Istituto di Musicologia dell'Università di Salisburgo, esperto di vocalità e didatta attualmente attivo presso le accademie musicali di Berlino e Lipsia – nel suo libro Belcanto. Prassi esecutiva dell’opera italiana da Rossini a Verdi (Lucca, Lim – Libreria Musicale Italiana 2024, pp. VII + 326, € 30,00).

Come si legge nella sua Introduzione, nelle pagine del suo volume (nell’edizione italiana a cura di Tito Ceccherini) «con stile belcantistico, non si intenderà l’arte canora dell’epoca barocca, ma lo stile vocale dominante nell’opera italiana da Rossini fino al primo Verdi». Poco più avanti Berne mette ancora più a fuoco la sua prospettiva: «in un’opera belcantistica non si canta o non si canta soltanto quello che è scritto in partitura. Tale pratica non è una manifestazione di arroganza o superficialità; fa parte piuttosto dello spirito autentico del Belcanto il fatto che il compositore lasci al cantante, in determinati punti, uno spazio di libertà in cui questi possa esercitare la propria inventiva».

A scanso di equivoci – e di invettive di improbabili puristi filologo-melomani – l’autore precisa che «Nelle opere di Wagner o del tardo Veri il testo musicale è effettivamente “sacro”, e fedeltà all’opera coincide allora effettivamente con fedeltà al testo. Non è però questo il caso per le opere prodotte in Italia nella prima metà dell’Ottocento».

In questa prospettiva il volume si propone come vero e proprio manuale per cantanti, direttori e interpreti posti a confronto con un repertorio – quello del Belcanto, appunto – la cui prassi esecutiva viene qui riassunta ed esposta in forma sistematica ed organica. Accanto ad un ricco apparato di citazioni raccolte da trattati d’epoca, si fa riferimento anche alla tradizione orale trasmessa da Antonio Cotogni e Luigi Ricci, oltre a una nutrita rassegna di esempi musicali tra i quali di particolare interesse appaiono gli “Esempi per la messa a punto di un brano di Belcanto” raccolti nella Terza Parte del volume. Infine, al di là della sua matrice manualistica, il libro può essere di interesse anche per appassionati di diversa natura, soprattutto per la presenza dei numerosi suggerimenti d’ascolto raccolti nella Playlist e relativa Guida all’ascolto accessibile dalla pagina dedicata del sito della casa editrice.

Il canto demolito dalla foniatria

Proseguendo nel nostro percorso che dal mondo dell’opera ci porta a un contesto sempre più circoscritto relativo alla voce applicata al repertorio lirico, troviamo in questo recente lavoro di Antonio Juvarra – interprete e docente riconosciuto di tecnica vocale italiana, autore di numerosi saggi sulle tecniche di canto – interessanti e originali spunti di riflessione. In questo denso e agile lavoro titolato Vocologia e SOVTE. La demolizione del canto ad opera della foniatria artistica (Padova, Armelin Musica 2025, pp. 160 € 22,00) l’autore passa in rassegna i diversi errori tecnico-vocali e i falsi acustici, fisiologici e storici, introdotti nel canto dalla foniatria artistica – detta anche “vocologia” – a partire dall’Ottocento. Dai meccanicismi laringei del ‘colpo di glottide’ e delle ‘figure obbligatorie’ a quelli respiratori del divieto di innalzamento del torace e del ‘sostegno’, a quelli risonanziali della ‘maschera’, dell’‘affondo’, della ‘protrusione delle labbra’ e della ‘contrazione’ dello sfintere ariepiglottico, a quelli anti-articolatori dei cosiddetti SOVTE, secondo Juvarra non c’è un solo aspetto della tecnica vocale che non sia stato distorto, ingessato, complicato e, in certi casi, addirittura soppresso dallo sguardo esterno e riduzionistico della foniatria artistica.

Come si legge all’inizio del settimo capitolo di questo lavoro, «Che la “scienza del canto” foniatrica non sia scienza, ma mera ideologia meccanicistica è dimostrato dall’interpretazione che essa ha dato di quella peculiare e unica tecnica vocale a risonanza libera, che è la tecnica naturale del belcanto (o tecnica vocale italiana storica). Nel leggere le teorie foniatriche attuali, riguardanti questo argomento, si ha la sensazione di essere riportati indietro alla foniatria artistica ottocentesca e alla sua ingenua concezione meccanicistica». Una posizione che Juvarra argomenta e sviluppa in questo libro perlustrando le differenti prospettive che, di volta in volta, declina in merito, tra l’altro, alle tecniche e agli esercizi vocali di matrice foniatrica. Un ragionamento che richiama significativamente anche alcuni casi si “scienza del canto” dei secoli XIX (Holbrook Curtis), XX (Jo Estill) e XXI (Yva Barthelemy).

Un percorso di analisi sulla vocalità che arriva, nelle Conclusioni, a evidenziare come «la tecnica della “maschera” e , in misura minore, la tecnica dell’“affondo” (entrambi prodotti foniatrici DOC) si sono impresse erroneamente nell’immaginario collettivo (sia in contrapposizione reciproca, sia in combinazione) come la tecnica del canto lirico tout court». L’obiettivo ultimo appare dunque quello di liberare l’energia «tipica del belcanto, che si manifesta come risonanza libera, “eco della voce”, canto “sul fiato”, ed è distante anni luce dall’azione fisico-meccanica, pesante ed esterna, tipica di ogni canto artificiale-imitativo, sia esso di marchio “tecnoscientifico” o “esoterico-artistico”».