Musiche ovali e suoni dalla biosfera

Il ritorno di due veterani della scena elettronica europea: Biosphere e Oval

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Biosphere
Departed Glories
Smalltown Supersound

Oval
Popp
UOVOOO

Si riaffacciano all’attualità, pressoché simultaneamente, due veterani del suono elettronico che scrissero nell’ambito specifico pagine importanti verso la fine del secolo scorso. Il berlinese Markus Popp (da oltre un ventennio unico intestatario del marchio Oval) divenendo precursore nell’arte delle musiche “difettose”, il cosiddetto glitch, in modo particolare nel classico 94 Diskont (1995). Geir Jenssen, norvegese dell’artica Tromsø, esplorando viceversa con lo pseudonimo Biosphere i territori ambient in dischi come l’eccellente Substrata (1997).

Quest’ultimo rimane in fondo fedele a se stesso in Departed Glories, per quanto insolite siano le fonti cui ha attinto per realizzarlo. Residente da qualche tempo a Cracovia, ha subito la suggestione della vicina foresta di Wolski: luogo legato in epoca medievale a episodi di stregoneria e durante la Seconda guerra mondiale insanguinato dalle esecuzioni di massa compiute dagli invasori nazisti. Ricorrendo a registrazioni del folklore dell’Europa Orientale, in prevalenza cori femminili, e deformandole sino a renderle simili a ectoplasmi sonori, ha creato un’opera insieme ammaliante e inquietante, solenne (“Wyll and Purpose”) e sognante (“Sweet Dreams For a Shade”), sommessa (“Fall Asleep for Me”) e sottilmente ipnotica (“With Precious Benefit to Both”).



Popp, che ha voluto intitolare il nuovo lavoro targato Oval con il proprio cognome, tende invece a distanziarsi progressivamente dai suoi trascorsi e pubblica ora una raccolta di – ipse dixit – “tracce da club”. E spiega: «È come passare dalla cucina povera (il mio stile glitch con budget da studente degli anni Novanta) a una cucina fusion ad alta tecnologia (dopo il 2010), tipo un vegano appena incappato in un seminario sul barbecue». Designati da monosillabi enigmatici, gli 11 brani inclusi nell’album convincono solo a tratti: accoppiata sovente a voci robotiche, l’insolita verve ritmica di “ai”, “ku” e “my” è formalmente ingegnosa e intrigante, mentre in altri casi l’esito suona datato, riecheggiando di volta in volta imprese precedenti di Aphex Twin o Orbital.

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