Lo sguardo di Maryla Jonas

Un cofanetto Sony documenta l'attività della pianista polacca, dalla tragica storia

Maryla Jonas
Articolo
classica

Dall’elegante – ma anche vagamente cimiteriale – ovale disegnato sulla copertina, lo sguardo di Maryla Jonas ci osserva con una sorta di triste freddezza. Non è tanto la mancanza di sorriso a colpire, quanto il taglio degli occhi, il sopracciglio sinistro leggermente arcuato, come se stesse guardando nel passato.

Non è difficile immaginare, senza necessariamente indulgere in romanticismi, che quello sguardo fosse rimasto fisso sul passato, un passato doloroso e traumatico che segnerà per sempre la storia di questa pianista, di cui ora la Sony pubblica l’opera completa in un cofanetto decisamente interessante.

Nata a Varsavia nel 1911, Maryla Jonas ci è stata raccontata come una concertista particolarmente promettente nell’Europa della seconda parte degli anni Trenta, ma – stante l’impossibilità di ascoltare alcun documento – alcune delle fonti più agiografiche sono state ampiamente ridimensionate, tanto che si può tranquillamente affermare che non sia stata una pianista di gran successo.

Nel 1939, con l’invasione della Polonia da parte dei nazisti e la confisca dei beni della famiglia, la Jonas viene invitata a andare a Berlino per suonare, ma al suo rifiuto viene imprigionata. Riesce a fuggire grazie a un ufficiale caritatevole e intraprende così un incredibile viaggio a piedi, coprendo la distanza tra Varsavia e Berlino (quasi 600 km) in condizioni terribili, tra freddo e mancanza di cibo.

A Berlino si rivolge all’ambasciata brasiliana, che le fornisce un passaporto falso e la fa viaggiare fino al Brasile come moglie di un diplomatico. Qui, raggiunta la sorella, cade in uno stato di profonda prostrazione sia fisica che psichica, acuita dalla notizia che marito, genitori e fratello erano stati uccisi.

Lontana dal pianoforte per molto tempo, viene convinta dalla sorella e dal più celebre collega Arthur Rubinstein a tornare a suonare, cosa che farà dapprima in Sud America per poi debuttare a proprie spese alla Carnegie Hall di New York nel 1946.

È l’inizio di un periodo di celebrità, segnato dall’ingaggio da parte della Columbia e dall’esecuzione del Primo Concerto di Beethoven con la New York Philharmonic diretta da Rodzinski. Nonostante un nuovo matrimonio e un apparente ritorno a una vita agiata, la pianista soffre enormemente le pressioni dell’ambiente, cancella concerti e accusa malori durante i concerti.

Nel 1952 gli viene diagnosticata una rara patologia del sangue, che la porterà al ritiro – tornerà solo nel 1956 per un programma mozartiano e chopiniano sempre alla Carnegie Hall – e poi alla prematura scomparsa, nel 1959.

Il cofanetto Sony contiene tutte le registrazioni effettuate per la Columbia in quattro cd, tre dei quali interamente dedicati a Chopin, con largo spazio alle mazurke e ai notturni. L’ultimo disco è una raccolta piuttosto eterogenea di miniature che va da Haëndel a Casella passando per le Kindeszenen di Schumann, la Marcia alla turca di Mozart, un Impromptu schubertiano e molto altro.

Chi volesse fare una ricerca sulla ricezione dell’arte di Maryla Jonas, non farà difficoltà a imbattersi in opinioni fortemente contrastanti: ai giudizi entusiastici di alcuni si contrappongono, non senza buoni motivi, altrettante perplessità.

Anche l’ascolto dei quattro dischi conferma questa compresenza di elementi affascinanti e altri più discutibili, a incominciare dalle scelte di tempo, che vengono piegate di volta in volta a esigenze espressive. Estremamente personale nell’approccio, fresca e ottocentesca in alcuni momenti, più riflessiva in altri, la Jonas è stata certamente un’interprete in grado di illuminare in modo originale alcune pagine (le Kindeszenen la vedono capace di un lirismo candido e colorato), anche se probabilmente le precarie condizioni psico-fisiche e la conseguente limitatezza del repertorio le hanno impedito di giungere a una naturale maturazione del proprio approccio.

Come accostarsi allora alla musica raccolta in questo bel box? Di certo munendosi di una certa indulgenza, ma anche aprendosi a entrare in sintonia con una sensibilità così fragile e dolorosa, provando a guardare dentro quegli occhi tristi che ci fissano dall’ovale. Ne vale la pena.

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Articolo in collaborazione con Fondazione Ferruccio Busoni Gustav Mahler