La spiritualità free di Yusuf Mumin

La riscoperta di una voce radicale del free jazz di Cleveland

EB

22 ottobre 2025 • 6 minuti di lettura

Yusuf Mumin
Yusuf Mumin

L’etichetta parigina Wewantsounds continua la sua missione di riportare alla luce le voci dimenticate della Great Black Music, ora è la volta di Journey to the Ancient, raccolta di registrazioni inedite di Yusuf Mumin, figura chiave della scena free jazz di Cleveland negli anni Sessanta e sassofonista del leggendario Black Unity Trio.

Mumin, nato come Joseph W. Phillips nel 1944, è stato un protagonista della corrente più spirituale e radicale del jazz afroamericano, dando vita nel 1968 al Black Unity Trio insieme a Abdul Wadud e Hasan Shahid.

Il loro disco Al-Fatihah (ristampato dalla Gotta Groove qualche anno fa) è diventato oggetto di culto tra collezionisti e appassionati del genere. Dopo decenni di silenzio e di ricerche infruttuose di nuovo materiale, questo disco offre finalmente un inedito sguardo sulla sua visione sonora.

Le registrazioni, provenienti dagli archivi personali di Mumin, non hanno data certa ma rivelano un artista in piena esplorazione.

Come scrive il critico Pierre Crépon nelle note di copertina, il materiale testimonia almeno due diverse sessioni, tra spiritualità e ardore improvvisativo. Rimasterizzato con cura da Colorsound Studio, l’album restituisce tutta la profondità e l’energia di un suono sospeso tra il lirismo interiore e la furia liberatoria tipica del free jazz dell’epoca e ci offre l’occasione per una chiacchierata con Yusuf Mumin.

Vorrei iniziare la nostra conversazione con questo nuovo disco di musica inedita, proveniente dal tuo archivio personale. Devo confessare che sono sempre affascinato dagli archivi personali e da come “sopravvivono” agli anni, ai traslochi e agli imprevisti della vita. Si può immaginare una cassaforte in cantina, con le registrazioni ordinate e catalogate, o magari un nastro che spunta da un cassetto… Se posso chiedertelo: dove sono rimaste queste registrazioni per tutto questo tempo?

«Sono passato dai nastri a bobine alle cassette, poi al trasferimento su CD nei primi anni Ottanta. Ho sempre conservato i nastri a bobine lontani dalla luce solare, dai campi magnetici e dall’umidità. Alla fine, questi nastri magnetici Scotch 201 con supporto in acetato da 1,5 sono sopravvissuti. Un mio rimpianto è la musica che non sono riuscito a preservare, parte della quale è andata perduta durante i viaggi in aereo. Così, quando i CD arrivarono sul mercato, cominciai a trasferire su di essi le idee musicali; l’ultimo passaggio è stato, naturalmente, il digitale».

La ristampa di Al-Fatihah ha riportato in primo piano la forza di quelle esplorazioni sonore, ma in questo nuovo lavoro emerge qualcosa di ancora più personale, con materiale sovrainciso che riflette la tua visione spirituale. Come è cambiata, se è cambiata, la tua spiritualità nel corso degli anni?

«La mia visione spirituale su ciò che è giusto, vero o equo si è evoluta molto dagli anni Sessanta. All’epoca era in gran parte influenzata dalla religione organizzata, che però si è rivelata deludente — anche se non voglio parlar male di alcuna divinità. Con la maturità, ho imparato a discernere la verità e a cercare uno scopo più alto, navigando tra illusioni e distrazioni create dall’uomo. In molte tradizioni la spiritualità è intrecciata con la profezia, la rivelazione o le esperienze mistiche — sogni, visioni o scorci di realtà trascendenti che offrono guida divina. Io sono incline a queste esperienze, ma indipendentemente da qualsiasi organizzazione».

«Vorrei anche aggiungere che la composizione John’s Vision, scritta quando ero con il Black Unity Trio, si ispirava al Libro dell’Apocalisse, che rappresentava la conclusione di un ciclo temporale inteso come profezia. In questo senso, le mie idee restano simili: credo che la musica debba avere una dimensione filosofica, offrendo diversi livelli di lettura all’ascoltatore».

Accade anche in questo disco…

«Journey to the Ancient inizia con Bakumbadei, che significa: “Quando l’anima ricorda, il suo viaggio non è interrotto.” La ruota del tempo è una spirale sacra: la reincarnazione non è esilio, ma la casa dove il destino impara la sua canzone. Si versa una libagione per i defunti, per mantenere una continuità ininterrotta con le vite precedenti. C’è più di un modo per esprimere un Journey to the Ancient. Quando la clessidra si svuota e viene capovolta, la stessa essenza si riversa di nuovo, solo in ordine inverso. A volte lo chiamiamo déjà vu, o un rinnovato orologio del destino».

Quando la clessidra si svuota e viene capovolta, la stessa essenza si riversa di nuovo, solo in ordine inverso.
Yusuf Mumin

«A Distant Land è un luogo dove gli esuli indossano corone e la gravità piange: la terra accoglie il corpo, ma l’anima fugge, legata al mondo invisibile anche durante la vita.

Diaspora Impressionism riflette la dispersione dei popoli dalle loro terre d’origine. In questo contesto, parla dei senzatetto, delle famiglie divise nel mondo di oggi. Le persone sfrattate dalle loro case diventano come alberi senza radici, come fiumi che non riescono più a trovare il mare».

Hai spesso parlato della profonda influenza di Albert Ayler — che, come te, era di Cleveland — anche se il tuo approccio resta molto diverso. Cinquantacinque anni dopo la sua morte, cosa possiamo ancora trasmettere alle nuove generazioni riguardo alla sua urgenza musicale?

«I genitori di Albert Ayler erano amici dei miei, già dagli anni Quaranta. Fu il signor Edward Ayler a parlarmi per la prima volta di suo figlio Albert, negli anni Cinquanta, quando veniva a casa nostra. La prima volta che ascoltai la sua musica, ne rimasi profondamente colpito».

«Ho realizzato un album intitolato Sketches of the Invisible, che regalai al padre di Albert come tributo: era il mio modo di mostrare riconoscenza a entrambi. Tuttavia, le idee musicali che avevo in mente erano diverse, sebbene sempre nell’ambito dell’avanguardia. Ero anche affascinato da Sonny Murray e Henry Grimes. Negli anni Sessanta si trattava di dire la verità attraverso gli strumenti, andando controcorrente rispetto a un establishment già incline alla guerra e alle armi».

Leggendo la tua storia, mi ha colpito molto l’esperienza del tuo negozio di dischi, Cosmic Music, come l’album postumo di John Coltrane — e come vengono chiamati oggi tanti dischi e band che si ispirano a quei suoni. Che ricordi hai di quell’esperienza?

«Nel mio negozio di dischi, Cosmic Music, la parte anteriore era destinata alle vendite, mentre sul retro abitavano Hasan, il batterista, e la sua compagna. Il seminterrato era invece il luogo dove il Trio provava e sviluppava le proprie idee».

Il brano che apre l’album è un omaggio ad Abdul Wadud, che tu stesso hai descritto come un’offerta ai “fantasmi dei padri”. Devo confessare che quando arrivai per la prima volta a New York, nei primi Duemila, una delle prime cose che feci fu chiedere a un amico una copia del suo disco solista, allora quasi introvabile. Ogni tuo ricordo su di lui è prezioso: la sua amicizia e collaborazione hanno influenzato anche il tuo modo di suonare il contrabbasso?

«Eccome! La forma utilizzata in Journey to the Ancient risale agli anni Sessanta, quando suonavamo insieme. Molte di quelle idee non furono mai registrate — avevamo solo abbastanza soldi per un’ora di studio. Tutto ciò che si sente in Al-Fatihah è registrato in first takes. Il resto dei fondi fu usato per stampare l’album, grazie a un concerto che tenemmo alla Twain Hall della Case Western Reserve University. Abdul Wadud conservava anche un nastro del master originale di By Myself, che io stesso ho portato all’attenzione di Gotta Groove Records, poi responsabile della ristampa del disco».

«Il lavoro di pizzicato che Abdul fece su quell’album è straordinario — mi faceva pensare a un sitar, e ne ridevamo spesso. Penso ancora che sia un’opera incredibile».

Come spesso accade agli artisti che hanno vissuto momenti di grande intensità creativa a contatto con personalità forti, le domande tendono a guardare al passato. Tuttavia, per chiudere la nostra chiacchierata, vorrei chiederti: cosa stai facendo oggi?

«Sto lavorando su musica teatrale e arrangiamenti per tastiera per mia figlia Fatima, che sta scrivendo poesie e un romanzo giallo».