Giappone e sentimento: 10 canzoni per capire il city pop
Da Tatsuro Yamashita a Tomoko Aran, alla scoperta del city pop giapponese degli anni ottanta.
10 aprile 2020 • 4 minuti di lettura
Dalla metà degli anni Settanta, più o meno, alla grande crisi del 1991, l'epoca d'oro del city pop è stata la sfavillante colonna sonora dell'ultima impennata del boom, il ritratto in musica di un Giappone illuso di correre e grandi falcate verso un futuro da superpotenza e che invece si sarebbe ritrovato a sbattere i denti contro la risacca – politica, sociale, economica e culturale – del “decennio perduto”.
Un brusco e traumatico risveglio dopo i giorni delle estati assolate e dei cieli blu cobalto, dei tramonti rosso fuoco e delle spiagge romanticamente deserte, delle notti metropolitane e degli amori adolescenziali cantati dagli eterni ragazzi del city pop.
Non un genere, e nemmeno un ambito musicale definito e precisamente circoscritto. Un sentire diffuso, piuttosto, una sorta di “sentimento” condiviso da una folta ed eterogenea pattuglia di autori, interpreti, arrangiatori, musicisti e produttori dalle sensibilità a volte lontanissime (e in ruoli spesso interscambiabili).
Complicato insomma inquadrare il fenomeno in maniera univoca. Anche perché a volere fare i pignoli con gli agganci e i rimandi c'è di che diventare pazzi. Dalla disco al funk, dal soul all'easy listening e all'exotica, passando per la fusion più levigata e liquida, il jazz inteso come “mood”, il soft rock da piani altissimi delle classifiche e una generosa dose di elettronica, il city pop, con lo sguardo rivolto all'Occidente e fedele a un'idea tutta giapponese di perizia tecnica e di virtuosismo, ha fagocitato praticamente di tutto.
Sakamoto e gli altri, alla riscoperta del Giappone elettronico
Fin dagli esordi, dall'esperienza fondante (per quanto sui generis dal punto di vista estetico) degli Happy End di Eiichi Ohtaki e Haruomi Hosono, entrambi destinati a un futuro da eminenze (tutt'altro che grigie) del city pop (e oltre: basti citare la Yellow Magic Orchestra). Anche se a volere fissare un punto zero forse bisognerebbe spostarsi in avanti fino al 1975, anno del primo e unico disco degli Sugar Babe delle future stelle Tatsuro Yamashita e Taeko Ohnuki, prodotto da Ohtaki per la sua Niagara Records. Un passo deciso – anche in termini di connessioni – verso l'esplosione definitiva, che di lì a poco sarebbe stata sancita dall'uscita di Sunshower della Ohnuki e Spacy di Yamashita (ai quali tra gli altri lavorano Hosono e Ryuichi Sakamoto).
Poi l'euforia collettiva degli anni Ottanta, le milionate di dischi venduti, il massimo dello splendore (anche creativo) e l'inevitabile declino. Il tutto riassunto in dieci canzoni? Ci proviamo. Buon ascolto.
1. Tatsuro Yamashita - "Love Space" (1977)
2. Taeko Ohnuki – "4 A.M." (1978)
3. Mai Yamane - "Tasogare" (1980)
Prima di prestare la voce calda e graffiante a “The Real Folk Blues”, sigla dell'anime-capolavoro Cowboy Bebop, Mai Yamane ha vissuto i suoi cinque minuti di gloria grazie a "Tasogare" (crepuscolo). Inquieto e notturno, obliquamente rock, l'omonimo brano piazzato in apertura di disco, arrangiato dal geniale Makoto Matsushita (sue le chitarre liquide e le tastiere sornione), è diventato nel tempo un piccolo oggetto di culto tra i cacciatori di sampler.
4. Eiichi Ohtaki – "Ame no Wednesday" (1981)
5. Anri – "Last Summer Whisper" (1982)
6. Takako Mamiya – "Mayonaka no Joke" (1982)
In una galassia così affollata di stelle, non poteva mancare una meteora. Un solo disco e poi tanti saluti. Ma che disco! Love Trip, fin dalla copertina firmata da Teruhisa Tajima (lo stesso che tra le tante ha disegnato quelle di Black Beauty di Miles Davis e Flood di Herbie Hancock), si piazza perfettamente al centro dell'immaginario city pop; e al centro del centro, al numero tre della scaletta, spicca la meravigliosa “Mayonaka no Joke”. La voce distaccata e languida, il controcanto dei fiati, il basso funky, gli svolazzanti tappeti di tastiere, l'assolo finale di chitarra: che altro chiedere?
7. Tomoko Aran – "I'm in Love" (1983)
Altro oggetto di culto recentemente ristampato in vinile, Fuyü-Kükan, disco numero tre della cantante Tomoko Aran, strizza l'occhio in maniera convinta all'elettronica (anche azzardata) e a sonorità più smaccatamente eighties. Perla tra le perle, “I'm in Love” esce dal coro grazie all'impeccabile arrangiamento (quelle tastiere!) e all'irresistibile ritornello. Il singolo perfetto.
8. Mariya Takeuchi – "Plastic Love" (1984)
Moglie e collaboratrice fissa di Yamashita, non solo osannata interprete ma anche apprezzata autrice, la super stella Mariya illumina il cielo degli anni Ottanta con un classico stra-ascoltato e pluri-depredato dai minatori operosi del future funk e della vaporwave. Facile capire il perché lungo i quasi otto minuti di una hit da manuale, tra funk urbano e levigatezze pop. Inevitabile.