Walkiria futurista

All'Opéra Bastille, Die Walküre diretta da Pablo Heras-Casado e con la regia di Calixto Bieito. Buone voci ed orchestra, ma la regia delude

AT

17 novembre 2025 • 4 minuti di lettura

La Valchiria (Foto HerwingPrammer/OnP)
La Valchiria (Foto HerwingPrammer/OnP)

Opera Bastille Parigi

La Walkiria

11/11/2025 - 30/11/2025

L’Oro del Reno firmato Calixto Bieito è stato lo scorso gennaio molto criticato, ma gli si è stato riconosciuto comunque il tentativo di creare un Ring con una nuova narrativa al passo con il nostri tempi, nello specifico verso un mondo post-umano, dove dominano i sistemi informatici e i robot, e la direzione di Pablo Heras-Casado del prologo è stata molto apprezzata ed ha compensato un po’ le perplessità sull’allestimento. In Die Walküre si è continuato a proporre un ambiente futurista, ma con un visuale e una drammaturgia che hanno convinto ancora meno perché, malgrado qualche buona idea e gli effetti speciali, sono sembrati più superficiali, con una drammaturgia pasticciata nel mescolare libretto originale e l’ormai visto e rivisto mondo post industriale dove la natura praticamente non esiste più se non nel temporale iniziale, che qui si svolge, depotenziandolo, in un ambiente tossico dove piove sempre e  dove necessitano le maschere del gas e le bombole d’ossigeno per stare all’esterno. Poi c’è un albero dentro la casa di Hunding, l’albero in cui è conficcata la spada che sarà poi di Sigfrido, e poco altro, anche gli animali sono finti o dei robottini. Se la lettura della partitura di Wagner da parte del maestro Pablo Heras-Casado è, come al solito, molto elegante, epurata e asciutta, mai debordante oppure ridondante.  dalle sonorità cristalline, limpide, con le diverse parti strumentali precise e nette nei loro interventi, dove i colori e i sentimenti ci sono ma senza trasporti romantici accentuati come il maestro Casado ama fare, nel complesso stavolta ha meno emozionato, la sua lettura è apparsa più convenzionale, di routine, è mancato quel tocco personale, fresco, che si è sentito invece nella sua interpretazione dell’Oro del Remo, molto più coinvolgente e interessante. Ma soprattutto i due piani, quello musicale e quello visivo, sono sembrati distaccati, estranei, con corni e trombe che stridevano con la tecnologia proiettata. Alcuni interpreti dalle buone voci sono stati poi mortificate dalla regia: l’ottima Tamara Wilson è una Brunilde che arriva vestita da bambola su una ridicola testa di cavalluccio di legno per bambini, probabilmente per sottolineare la sua iniziale cieca sottomissione infantile a Wotan; anche Sieglinde, interpretata dal soprano sudafricano Elza van den Heever, è presentata come una tristissima casalinga, serva sottomessa a Hunding, e anche se si possono comprendere le ragioni, per sottolineare sottomissione al marito costretto a sposare, stride molto sentire Siegmund che canta invece la bellezza e sensualità della sorella-sposa; per non parlare poi anche delle altre valchirie, in tute e appese a delle corde, la loro celebre cavalcata davvero deludente  L’unica donna che si salva dall’imbruttimento generale delle figure femminili è il soprano franco-sudafricano Ève-Maud Hubeaux nel ruolo di una Fricka qui presentata come donna volitiva, altera e molto elegante, pronta per un party e con voce adeguata. Ottime anche le voci maschili:  Wotan è stato interpretato alla prima dal baritono Christopher Maltmandi invece che dal previsto baritono-basso Iain Paterson che non stava bene, ed è stata un’ottima sostituzione. Maltmandi ha regalato un Wotan molto umano, Bieito ha sottolineato i suoi doveri, la sua mancanza di libertà assoluta malgrado il suo essere il capo degli dei, e Maltmandi ha interpretato un il dio molto umano alla perfezione, non voce di potenza, ma ben sonora e proietta, funzionale alla drammaturgia e con presenza carismatica su scena. Altra nota positiva, il giovane emergente tenore francese Stanislas de Barbeyrac come Siegmund, aspetto e bel timbro da eroe romantico come deve essere, suoi alcuni dei momenti migliori dello spettacolo come gli struggenti duetti con Sieglinde. Meno riuscito invece il personaggio di Hunding, che torna dalla caccia in giacca e cravatta sotto la tuta protettiva con maschera, interpretato da basso Günther Groissböck ancora forse non del tutto maturo per la parte del cattivo. Su tutti, svetta la Wilson che con la sua voce potente ma duttile, riesce a trasmettere perfettamente l’evoluzione del suo personaggio, da guerriera-bambina espressione soltanto della volontà di Wotan a donna che si emancipa osa fare diversamente dal comandato, capace di empatia e amore disinteressato, assumendosene le estreme conseguenze. Le scene, indubbiamente molto lavorate ma anche poco funzionali, sono di Rebecca Ringst, aiutate dalle belle luci di Michael Bauer e dai video di Sarah Derendinger, mentre i costumi sono di Ingo Krügler. Scene poco funzionali perché il reticolo di placche metalliche in cui in alto è ricavato sia la casa di Hunding che la stanza dove poi sarà infine imprigionata Brunilde, non sono ben visibili dalle prime file della sala, ma le pareti metalliche forate vengono in soccorso proiettandovi sopra continuamente dei piani ravvicinati, un bombardamento d’immagini che aiutano a comprendere quello che sta succedendo sui diversi livelli e ravvivano il tutto, ma che anche alla lunga stancano per sovraccarico di stimoli e distraggono da un godimento sereno della parte musicale.