Vixen: una “volpe” tra cuffie e gallerie

Funziona la rilettura in chiave "silent opera" de La piccola volpe astuta di Janačék ideata da Daisy Evans

Vixen
Vixen
Recensione
classica
Trento, Gallerie di Piedicastello
Vixen
02 Marzo 2019 - 03 Marzo 2019

L'idea di trasformare La piccola volpe astuta di Leoš Janačék in una “silent opera”, formula di fruizione ispirata all'ormai rodata “silent disco” e capace di conquistare l'interesse di un pubblico diverso da quello più tradizionale, trova la sua fonte nella fantasia di Daisy Evans. La regista inglese, infatti, è l'autrice di  un'efficace reinvenzione del capolavoro della maturità del compositore ceco, che è andata in scena nei giorni scorsi nell'ambito di OPER.A 20.21, la stagione diretta da Matthias Lošek e dedicata al teatro musicale contemporaneo della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento.

Ospitata presso Le Gallerie di Piedicastello di Trento, due ex tunnel stradali riconvertiti a spazi espositivi, Vixen ha abitato questi luoghi inconsueti grazie a un impianto drammaturgico che ha liberamente riletto l'opera originaria, evitando stucchevoli caricature a favore di una narrazione stringata e fresca, pensata in origine per il sottosuolo londinese.

Sullo sfondo della favola musicale che Janačék ha tratto nel 1925 dal romanzo di Rudolf Tesnóhlídek, il racconto tratteggiato nel libretto della Evans ci ha restituito la protagonista come una giovane donna che, in un'ideale periferia suburbana abitata da un'umanità composta da barboni e prototipi sociali segnati da un decadente maschilismo, percorre con determinazione la propria strada, fuggendo da un uomo che cerca di possederla, fino ad arrivare al prezzo estremo della sua indipendenza.

Una vicenda che ha trovato nella direzione musicale di Stephen Higgins un involucro narrativo sicuramente efficace, animato dagli arrangiamenti – curati dallo stesso Higgins assieme a Max Pappenheim, quest’ultimo impegnato anche nel sound design con David Gregory – che miscelavano estratti orchestrali dell’opera originale a impasti sonori elettronici, sui cui scarti ritmici si innestavano gli interventi dal vivo di un piccolo ensemble strumentale (Rosanna Ter Berg, Rachel Coe, Philip Granell).

Un mix sonoro veicolato attraverso le cuffie wireless indossate dal numeroso pubblico che costituiva una sorta di piccola distesa di fonti luminose e semoventi, attraversata dagli spostamenti degli stessi protagonisti della vicenda: Rosie Lomas (Vixen), Adam Green (Forester), Timothy Dickinson (Harasta), Lawrence Thackeray (Fox). Una dimensione dinamica, insomma, costantemente in equilibrio tra il rapporto diretto degli spettatori con gli spazi scenici (scene e costumi Kitty Callister, luci Jake Wiltshire) e gli artisti con i quali interagivano da un lato, e l'isolamento acustico generato da un ascolto immersivo scaturito dalle cuffie stesse dall'altro.

Dall’inizio scanzonato immaginato in un bar dove lo stesso pubblico ha potuto consumare un aperitivo di benvenuto, al malinconico finale ospitato tra tubi innocenti e ripari di fortuna, gli spettatori sono stati così coinvolti a più livelli da una rappresentazione originale e interessante, salutata alla fine da convinti applausi giustamente rivolti a tutti gli artisti impegnati.

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