A Versailles il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi
Suggestiva esecuzione diretta da Raphaël Pichon
Con i cantanti collocati non solo di fronte al pubblico ma anche in in alto, in fondo e ai lati, della magnifica Chapelle Royale del Castello di Versailles, dall’acustica rinomata, il maestro Raphaël Pichon con la sua orchestra e coro Pygmalion ha cercato di realizzare un’esecuzione del Vespro della Beata Vergine di Monteverdi immersiva, che avvolge lo spettatore e lo rende ancora più partecipe. Scritto nel 1610 dopo il grande successo a Mantova dell’Orfeo nel 1607, si tratta di una composizione sacra che volutamente combina, come si sa, effetti meditativi e teatrali utilizzando, con straordinaria creatività espressiva, una grande varietà di forme, sia della tradizione musicale sacra che del nascente stile operistico, variandole con grande inventiva e dando vita ad un capolavoro nuovo ed unico per il suo tempo. Composto da 14 parti, dopo il versetto introduttivo con risposta che arriva dal fondo della cappella, ed il primo vibrante salmo, già la terza parte “Nigra sum” che è il primo assolo del tenore, il bravissimo, elegantissimo californiano Zachary Wilder, accompagnato dalle arpe, trasporta chiaramente nel nuovo mondo totale del teatro in musica con le sue prime arie. Poi arriverà anche il primo duetto “Pulcra es” dei due soprani, Céline Scheen e Perrine Devillers, voce luminosa la prima, più scura e sensuale la seconda, con un’alternarsi di salmi e “concerti”, come li ha definiti Monteverdi, che non fa mai abbassare l’attenzione, alternando sacro e profano, argomenti religiosi e celebrazioni della gioia, della bellezza e dell’amore, raffinate polifonie, antifonie, ardite virtuosità vocali. La direzione di Pichon aggiunge ritmo a ritmo, è scattante, solo gli spostamenti dei solisti e del coro, e dello stesso direttore per l’inno “Ave Maris stella” lo costringono a delle pause più lunghe che, purtroppo, interrompono un po’ il vortice in cui sei stato catturato. Peccato anche per i posti molto stretti che non consentivano alcun movimento sulla sedia, impossibile voltarsi anche solo un po’ per seguire le voci come il corpo avrebbe voluto senza disturbare i vicini. Oltre a Zachary Wilder, gli altri due tenori sono stati Robin Tritschler e Antonin Rondepierre, meno impressionati i tre bassi Nicolas Brooymans, Etienne Bazola et Renaud Brès. Voci utilizzate da Monteverdi in tutte le combinazioni possibili che la sua fantasia gli ha suggerito per sorprendere lo spettatore. Notevole, nell’acustica felice della cappella, la resa degli eco previsti dal compositore nel concerto “Audi, coelum” che arrivano dall’alto, dalla passerella praticabile a metà altezza della chiesa, anche grazie alla collocazione degli artisti realizzata dal direttore. L’effetto è un’impressione di Cielo, di divino che risponde, che dialoga con ciscuno di noi. Il Coro, in ottima forma, si scompone per accompagnare i diversi solisti, e si ricongiunge nell’ensemble, l’effetto monumentale del lavoro si delinea con chiarezza. Ci si avvia alla conclusione del Vespro, le trame sonore si ispessiscono, i diversi strumenti vengono messi in rilievo, in particolare i violini e i cornetti, ma si fanno ben sentire anche i tromboni. La conclusione è lunga ed articolata, l’estasi cede il passo alla pace dei sensi negli ultimi, delicatissimi movimenti.
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