Venticinque piccole pièce su Bajazet
Il Teatro La Fenice aggiunge un nuovo capitolo al ciclo vivaldiano con il “Bajazet” allestito al Teatro Malibran
È di trent’anni fa il riuscito film Trentadue piccoli film su Glenn Gould del regista François Girard che raccontava la biografia del grande pianista canadese attraverso trentadue piccoli film, come tasselli di un unico mosaico. È invece di oggi il tentativo del regista Fabio Ceresa di raccontare Bajazet (o Il Tamerlano) di Antonio Vivaldi attraverso 25 piccole pièce, una per ognuna delle arie scelte dai propri lavori (L'Olimpiade, Giustino, Farnace, Motezuma e altre ancora) ma anche da quelli di altri colleghi (Geminiano Giacomelli, Johann Adolf Hasse e Riccardo Broschi) per quello che tecnicamente è un pasticcio. La ragione? Spiega lo stesso regista che “se ognuna di queste arie è tratta da un'opera diversa – e quindi da uno spettacolo diverso – proviamo a concepire questo genere musicale come un vero e proprio collage di suggestioni e idee”. Ineccepibile. Peccato però che, se è vero che ogni aria viene da un’opera diversa, è altrettanto vero che una coerenza drammaturgica esiste ed è data dal testo di Agostino Piovene, nel quale, secondo i dettami estetici dell’opera barocca, le arie rispondono all’esigenza di dare corpo agli “affetti” evocati dagli eventi raccontati nei recitativi.
Non c’è dubbio che mettere in scena un’opera barocca sia oggi una grande sfida proprio per la difficoltà di coniugare in un quadro drammaturgico coerente elementi difficilmente maneggiabili (le lungaggini dei recitativi e le infinite ripetizioni dei pochi versi delle arie al servizio dei virtuosismi vocali). Sorvolando sullo scollamento della gran parte delle 25 piccole pièce rispetto al testo o all’“affetto” inventate dal regista (e, per quanto ci riguarda, mortificare la nobile figura di Bajazet riducendola al Super Mario dei videogiochi è davvero un tradimento del testo), trattare come oggetti diversi recitativi (interpretati dai cantanti in proscenio come in una prova) e le arie sa tanto di scorciatoia furba per eludere quella difficoltà. E questo nuovo Bajazet allestito al Teatro Malibran per la stagione del Teatro La Fenice altro non è che una versione aggiornata e indubbiamente divertente (anche se alla lunga il gioco fra recitativi e scenette diventa piuttosto meccanico) del classico concerto in costume. E di costumi ce n’è davvero una profusione, tutti diversi per stili e epoche, prodotti dall’estro immaginifico di Giuseppe Palella. L’impianto scenico di Massimo Checchetto serve bene l’idea registica, costruendo uno spazio bipartito con sedie e leggii per i recitativi sul proscenio e un teatrino per le arie/pièce sul fondo.
Per l’esecuzione musicale di questa nuova tappa nel percorso di riscoperta del Vivaldi operista iniziato dal teatro lirico veneziano nel 2018 con l’Orlando furioso (ripreso anche nella scorsa stagione) Diego Fasolis cede il podio al collega e grande esperto vivaldiano Federico Maria Sardelli. Basso continuo “filologicamente” privo di tiorbe, tempi fin troppo spediti nell’accompagnamento delle arie (con qualche interprete in affanno), bel suono compatto degli archi dell’Orchestra del Teatro La Fenice con aggiunte di fiati “naturali”.
Buono il cast vocale, fatto interamente di esperti di canto barocco, che vede Renato Dolcini e Sonia Prina nei ruoli dei due sovrani rivali: il primo interprete sensibile del ruolo di Bajazet, cui Vivaldi riserva fra le pagine emotivamente più intense, mentre la seconda affronta da autentica mattatrice il capriccioso e umorale Tamerlano con il suo ampio spettro di affetti musicali. Se Loriana Castellano è una Asteria corretta ma un po’ trattenuta nella furia, Lucia Cirillo regala con la sua Irene i momenti più virtuosistici nelle vertigini farinelliane di “Qual guerriero in campo armato”. Raffaele Pe nel suo Andronico mette soprattutto in mostra il lato più languido e lunare, mentre Valeria La Grotta nel piccolo ruolo di Idaspe non brilla nell’eroica “D’ira e furor armato” piazzata nel sottofinale. Coro finale “Coronata di gigli e di rose” suggellato dal “That’s all Folks” come nei cartoni Looney Tunes proiettato sul fondo scena.
Pubblico numeroso, divertimento, caldi applausi.
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