Una (quasi) novità di Bussotti, a tre anni dalla sua scomparsa

Il festival di Nuova Consonanza riscopre SyroSadunSettimino, eseguito una sola volta cinquant’anni fa

 SyroSadunSettimino (Foto Marta Cantarelli)
SyroSadunSettimino (Foto Marta Cantarelli)
Recensione
classica
Roma, Teatro Vascello
SyroSadunSettimino
25 Novembre 2024

A tre anni dalla scomparsa di Sylvano Bussotti, Nuova Consonanza ha realizzato la prima esecuzione in Italia e la prima esecuzione assoluta in forma scenica di un suo lavoro precedentemente eseguito una sola volta al festival di Royan del 1974 e in forma di concerto, mentre sarebbe dovuta essere una “operina monodanza in un atto di notte”, ovvero uno spettacolo sui generis, come molte delle creazioni di Bussotti. Non è chiaro perché a Royan sia stato eliminato quasi all’ultima ora il momento teatrale di SyroSadunSettimino  - questo è il titolo - e nemmeno Marcello Panni, direttore dell’esecuzione di cinquant’anni fa e di quella attuale, Rocco Quaglia, compagno d’arte e di vita di Bussotti, Dacia Maraini, autrice dei testi, e il musicologo Alessandro Mastropietro hanno potuto spiegarlo con sicurezza nella conversazione che ha introdotto lo spettacolo. Ma con ogni probabilità il motivo è da ricercarsi nella prevista e poi cancellata partecipazione dei protagonisti della Grande Eugène, un cabaret parigino molto in voga negli anni Settanta per i suoi numeri di attori trans, che - ma è solo un’ipotesi - potrebbero essere stati considerati troppi scabrosi per un festival di musica contemporanea piuttosto serioso come quello di Royan. E questo è probabilmente anche il motivo per cui non se ne è più saputo niente fino ad oggi.

Di quel progetto iniziale resta traccia nel sottotitolo, altrimenti inspiegabile: “Il trionfo della Grande Eugenia”. Ma ancor più indecifrabile sarebbe stato il titolo SyroSadunSettimino, se non ci fosse stato spiegato che condensa i nomi dell’autore (Sylvano) e dei dedicatari, il suo compagno Rocco e l’amico e pittore Sadun. Apparentemente più comprensibile è Settimino, in quanto l’organico è formato da sette strumenti (più il pianoforte), gli stessi dell’Histoire du Soldat  di Stravinskij, considerata da Bussotti un po’ l’archetipo di questo lavoro, che ora alterna ora unisce parole recitate, danza e musica. Ma anche sotto Settimino si cela un significato nascosto: infatti il testo poetico (poetico nella duplice accezione del termine) di Dacia Maraini narra di un bambino nato settimino, che vuole fare il ballerino e oscilla in continuazione tra genere maschile e femminile, scontrandosi con i pregiudizi ma vivendo questa sua fluidità come modo per conoscere meglio il mondo. 

Tutto questo è stato raccontato durante la conversazione di cui si è detto prima, venendo alla luce un po’ alla volta da un fitto mistero, lasciando tuttavia angoli oscuri e domande insolute: appassionante come un giallo. Marcello Panni, che ne ha curato la prima esecuzione alla presenza dell’autore stesso, era l’unico in grado di ricostruire, novello Sherlock Holmes, il mistero della partitura di Bussotti, che è conservata nell’Archivio Ricordi e che è stato necessario non solo e non tanto ricostruire quanto ricreare (chi abbia mai dato anche soltanto un rapido sguardo a una partitura di Bussotti, sa bene perché). 

Quanto alla parte visiva, è stato necessario inventarla ex novo, perché non è mai esistita se non nella mente di Bussotti. È stato lo stesso Panni a curarne ora la mise en espace.  Su uno schermo in fondo al palcoscenico venivano proiettati frammenti del film RARA realizzato da Bussotti nel 1968/1970, mentre davanti allo schermo il coreografo e danzatore Carlo Massari era impegnato in una “monodanza” di sua creazione, che ora rifletteva piuttosto letteralmente il ritmo e la “melodia” della musica, ora ne offriva una libera interpretazione: vi si poteva riconoscere il giovane ballerino gender fluid protagonista del testo della Maraini, che è stato letto da Manuela Kustermann, attrice preziosa e perfetta oltre che amica storica di Bussotti. 

Sul lato destro del palcoscenico stavano Marcello Panni e i 7+1 strumentisti di Roma Sinfonietta da lui diretti. Nel buio, da cui emergevano solo al momento dei loro interventi “a cappella”, stavano i dodici cantanti di Evo Ensemble. Nella penombra baluginavano i suoni della partitura di Bussotti, talvolta brevi gruppuscoli di note, talvolta costellazioni sonore rade ed ampie, talvolta frasi più dense e compatte: tutto sorprendente, misterioso e affascinante. E, come ha detto Panni stesso, assurdamente difficile per gli strumenti e le voci, che tuttavia hanno suonato e cantato in modo stupendo.

Un’ora incantata, che dilegua lasciando un alone di mistero su come sarebbe dovuta essere nella mente di Bussotti: ma era Bussotti stesso a volere che i suoi progetti scenici e musicali non fossero rigidamente predeterminati e s’inverassero in modi sempre diversi. 

  

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